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“Et in terra pax”, il cinema di qualita’ viene da Roma e ha dei volti giovani

Il film di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini ambientato nel quartiere Corviale arriva in due sale

“Et in terra pax” è la testimonianza di un nuovo concetto d’arte. Un’arte militante, forte, fatta di impegno concreto e di passione autentica. Il film infatti, dopo essere stato presentato alle giornate degli autori dell’ultimo festival del cinema di Venezia e aver racimolato premi in giro per il mondo, arriva finalmente a Roma. Una contraddizione se si guarda bene, trattandosi di un film interamente romano, dalla scrittura alla post-produzione: romana è l’ambientazione, nel quartiere Corviale, tra gli spazi post-industriali e dimenticati del lungo palazzone che taglia la periferia ovest della capitale, romani sono i due registi e romani sono tutti gli attori. Del resto sembrava un destino già scritto, dato il successo che già i due giovani registi appena trentenni avevano raccolto con le due serate di proiezioni realizzate nello scorso settembre. E sembra il coronamento di una storia fatta di impegno costante nel cinema, con diversi corti che hanno contribuito a confermare un nome, quello della premiata ditta (è proprio il caso di dirlo) Botrugno-Coluccini che nell’ambiente del cinema indipendente è una garanzia.
“Et in terra pax” non è una storia di clichés, di formule narrative stantie, non è patetismo e non è “marcio a tutti i costi”, manca qualsiasi traccia di glam o di maniera. “Et in terra px” è essenza, è la natura profonda della periferia, che in questo caso è quella romana ma che potrebbe essere quella di qualsiasi altra metropoli del mondo, è l’intreccio intricato tra vite che non si sarebbero mai dovute incontrare ma che, nell’isolamento dei palazzi grigi e imponenti, finiscono per trovarsi come per una dannazione divina. Sullo sfondo le note vivaldiane della composizione da cui prende nome il film accompagnano lo svolgersi delle vite dei tanti personaggi, qualcosa in più di comparse, che attraversano il film. C’è il giovane che torna dal carcere e vorrebbe emendarsi dal suo passato, riuscire a sopravvivere nel blocco di case senza essere precipitato nuovamente nella miseria umana di chi ricorre al crimine per andare avanti, c’è la ragazza che studia e lavora per poter fuggire dalla periferia, c’è il branco di ragazzini costretti a perdere giorni interi dietro a un nulla, in dialoghi senza costrutto, animati solo da qualche rissa e dalle prepotenze sugli altri. Tutte persone e vicende unite da un destino tragico, cruento, come in un crescendo vivaldiano appunto, che restituisce il ritratto di una periferia chiusa, asfittica, da cui non sembra possibile uscire. E su questo plot costruito sapientemente si innesta una regia ottima, studiata, equilibrata e con una cifra personalissima, capace di imprimere negli occhi degli spettatori la panchina trasformata in piazza di spaccio, le fiancate dei palazzi, i vialoni prede dell’incuria, e i volti, giovani, anziani, infantili e tutti legati da un dolore incontrastabile.
Un film davvero sorprendente, una perla costruita con un budget di 30.000 Euro, irrisorio rispetto alla spesa media di un qualsiasi altro film del circuito ufficiale. E per fortuna trova ora uno sbocco per arrivare a un pubblico più ampio di quello degli addetti del mestiere. Sarà infatti in programmazione per questa settimana al cinema Nuovo Aquila e al cinema Farnese oltre che al multisala Oxer di Latina. Speriamo che sia solo un inizio, la prima tappa verso una distribuzione più diffusa, perché vale la pena che quante più persone vedano questo film, perché talenti italiani di questo tipo vanno conosciuti e accompagnati dal pubblico e soprattutto perché si tratta di arte, in una sua bellissima espressione.

Stefano Cangiano

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