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Cum Panis, dalla terra al sogno

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Una mostra fotografica sull’esperienza del Pachamama

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LA MOSTRA – Si apre sabato 8 novembre la mostra dal titolo ‘Cum panis. Dalla Terra a un sogno’ ospitata dall’Associazione Culturale WSP Photography in via Costanzo Cloro 58. L’esposizione fotografica di Alessio Curci, Silvia Mariotti e Simone Pellegrini, racconta la storia dell’occupazione del Casale Pachamama nel quartiere Papillo, seguita interamente anche dal nostro giornale. La mostra sarà aperta fino al 21 novembre 2014 dal lunedì al sabato (escluso martedì) dalle 19:00 alle 23:00. Ingresso riservato ai soli soci ENAL 2014, ma sarà possibile tesserarsi il giorno dell’evento. 

IL LAVORO – L’invito che accompagna la mostra racconta l’esperienza che ha portato i tre fotografi a costruire giorno dopo giorno questo lavoro: “Una storia che Alessio Curci, Silvia Mariotti e Simone Pellegrini hanno vissuto da vicino, fotografando con sensibilità le varie fasi di vita dell’occupazione e fondendo i loro stili al servizio di un unico racconto, che gioca sul filo della documentazione giornalistica senza tralasciare l’interpretazione creativa”. 

L’ESPERIENZA DEI FOTOGRAFI – Una vicenda questa che ha coinvolto in prima persona i tre fotografi: “Cum panis è la storia di un luogo, una terra e di un sogno, un racconto fotografico delle speranze e degli ideali di una comune, quella del Casale Pachamama di Roma”, raccontano gli autori degli scatti che hanno seguito la vicenda per oltre un anno. “Occupata nel giugno del 2013 da un gruppo di persone, questa struttura abbandonata sorge nella periferia Sud di Roma, all’interno della Riserva Naturale Acqua-Acetosa Ostiense. Gli occupanti decisero di ribattezzarla Pachamama, ovvero Madre-Terra – seguitano – In poco tempo, il Pachamama è diventato un’isola verde in un orizzonte di cemento: per ben undici mesi gli occupanti hanno fronteggiato difficoltà logistiche, climatiche, strutturali e politiche, riuscendo, però, a trasformare il casale in uno spazio abitativo, sociale e rurale e contrastando mire speculative”. A giugno 2014 un’ordinanza esecutiva del Sindaco di Roma ha messo la parola fine all’occupazione, predisponendo la chiusura del Pachamama: “In un momento storico di forte contrasto alle occupazioni a Roma e in tutta Italia, a loro resta almeno una promessa – concludono – il casale non sarà distrutto ma diverrà un Bene Comune”.

IL COMITATO DI GESTIONE – Durante l’occupazione noi di Urlo avevamo incontrato il Comitato di Gestione del Casale, per ascoltare le ragioni e i progetti di chi, in quel momento, stava occupando e risistemando il casale: “Questa occupazione nasce da pluralità e soggetti diversi – ci spiegava Paolo Perrini, portavoce del Comitato di Gestione del Casale – Soggetti che hanno avuto un’idea: cercare di coniugare il diritto all’abitare con quello al lavoro e all’integrazione, partendo da una delle poche risorse che ci è rimasta: il patrimonio abbandonato”. Gli esempi di strutture abbandonate e dimenticate simili al casale dell’Ara potrebbe essere lunghissimo e, da alcuni anni, svenduto per sanare i buchi di bilancio: “Un modello vecchio che utilizza il patrimonio pubblico per pagare i debiti – seguitava il portavoce – Vogliamo mettere in piedi una proposta alternativa di utilizzo, coniugando questi tre diritti in un’ottica di città diversa, che non parta dalla logica dello sfruttamento e del cemento, ma dalla rigenerazione e dalla riconversione del patrimonio pubblico. Sperimentando un modello di utilizzo di un bene comune che crei posti di lavoro e riqualifichi il territorio partendo da quello che già esiste”. Subito dopo l’occupazione sulla vicenda si scatenò l’attenzione della popolazione e della politica: “è curioso che dopo trent’anni di abbandono e degrado dei Casali, solo oggi si evidenzia, da più parti, tutto questo grande interesse – seguitava Perrini – Dopo quattro mesi di occupazione il Comune è costretto alla ristrutturazione e a riconsegnare questa struttura alla città, noi proponiamo di farlo attraverso questo progetto”. Nel tempo che abbiamo passato all’interno del casale ci hanno parlano di molte idee, mostrandoci anche alcuni interventi già in opera, come tre differenti orti, tra i quali spiccava l’esperimento di raccogliere esemplari provenienti da ogni parte del mondo: “Questa era una fattoria agricola, l’ultimo proprietario era una società egiziana che l’ha mantenuta in funzione fino agli anni Sessanta – seguitava il comitato di gestione – Vorremmo riportare anche la struttura all’utilizzo originario, con una piccola parte di abitativo per le persone che lavorano qui, ma anche circa 50 altri posti di lavoro per la gestione di questi 28 ettari”. Sono queste le dimensioni dell’area, se non fosse per 22 ettari che sarebbero destinati alla costruzione di un Punto Verde Qualità approvato nel 2010, per un costo che si aggira sui 15.600.000 euro: “Un Golf Resort Spa – ci raccontavano gli occupanti con le carte e i progetti alla mano – Ma che interesse pubblico c’è in questo progetto? La nostra idea non è questa. Noi vogliamo parlare di agricoltura urbana, sociale e biologica, ma anche di ristorazione, di artigianato e della riscoperta degli antichi mestieri. Partiamo da un modello di fattoria sociale con un’ampia gamma di esperienze laboratoriali, una biblioteca, degli orti sociali ed educativi. Tutto questo per tutelare risorse e occupazione di soggetti a basso potere contrattuale. Vogliamo anche prevedere dei servizi rivolti all’infanzia, come l’agriasilo in concerto con la scuola vicina. Tutto questo – spiegavano – in collaborazione con altre organizzazioni e associazioni specifiche”. 

Leonardo Mancini