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Affari di quartiere “alla romana”

“Abbello da ‘ndo vieni?”
“Io so’ de Torbella, ma bazzico pe’ Centocelle”
“Ah bene, stasera volemo anna’ a pijasse qualcosa a Torpigna. Ce stai?”
“’Nt’ho so dì ancora. Volevo famme ‘ngiretto al laghetto dell’Eur”

Questa può essere una classica chiacchierata tra ragazzi romani che si mettono d’accordo su quale quartiere frequentare per un sabato sera. Poteva essere così anche per i nostri predecessori? Erano soliti parlare di quartieri o municipi?
Assolutamente no, anzi, la parola “municipium” era comune nella Roma repubblicana ma designava una comunità fuori dai confini dell’Urbe, con usanze e cultura diverse da quelle del populus Romanus; gli abitanti dei municipi mantenevano usi e identità propri nonostante fossero stati sottomessi al potere politico romano e alla sua amministrazione.
Tornando ai confini entro i sette colli, sappiamo che la prima divisione venne fatta dal sesto re di Roma, Servio Tullio, nel VI secolo. Questa divisione vedeva il riconoscimento di sole 4 regiones (regio al singolare) ovvero 4 quartieri. In età Augustea, a cavallo dell’anno 0, complice lo sviluppo urbanistico e monumentale, la popolazione raggiunse il milione e mezzo e ci fu una suddivisione in 14 regiones (che non comprendevano Trastevere, allora chiamato Transtiberim) e a capo di queste vennero posti dei magistrati, i comitati di quartiere invece erano i vici. Facendo un paragone con l’amministrazione odierna, il magistrato di rione (termine usato in epoca medievale e lingua volgare, in latino è regio) corrisponde all’attuale Presidente di Municipio. Il magistrato di rione veniva estratto a sorte e operava per un anno, mentre il Presidente del Municipio viene eletto direttamente dai cittadini e dura in carica cinque anni. Voi quale delle due soluzioni preferite?
Oggi i cittadini possono facilmente entrare nella vita politica e ricoprire una carica, complice l’eguaglianza formale e politica, ma non sempre è assicurata una capacità amministrativa che deriva da studi e applicazione pratica oppure da una spiccata propensione personale. In epoca romana, invece, la competenza di un politico era assicurata, o quasi, dalla sua carriera politica o Cursus honorum.
Premettendo che i cittadini della Roma imperiale erano divisi nelle tre classi di senatori, patrizi e plebei, a ognuna di queste era permesso un determinato percorso politico e solamente i primi potevano accedere alle magistrature tradizionali. L’affidabilità di cui parlavamo era determinata da leggi che imponevano un’età minima che l’aspirante politico doveva avere per accedere a una carica. Inoltre essa doveva essere mantenuta per alcuni anni e, per poter accedere all’incarico successivo, era imposto un intervallo di tempo da rispettare tra un ufficio e l’altro.
E ricordiamo che le leggi non concedevano di rimanere in carica più del tempo previsto, per impedire un accentramento di potere nelle mani dei soliti politici.

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Veronica Loscrì