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La chiesa di San Giovanni Decollato

meraviglie 115 - chiesa di san giovanni decollato

Situata nella via omonima nel rione Ripa, l’edificio venne costruito sull’area dell’antica chiesa di Santa Maria della Fossa, concessa nel 1488 all’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato. Terminata nel 1504 oggi vi officiano soprattutto sacerdoti fiorentini.

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La chiesa è piccola e realizzata in stucco, estremamente graziosa e recentemente restaurata. Venne distrutta, infatti, nel 1727 e ricostruita nel 1888. L’interno si presenta a navata unica ed è completamente affrescato da artisti toscani del tardo Cinquecento con figure di santi. Sull’altare maggiore vi è un eccellente affresco di Giorgio Vasari che rappresenta la decollazione di San Giovanni, molto aderente alla realtà. Sul primo altare a destra, invece, vi è un bellissimo pezzo di Naldini, pittore fiorentino anch’egli, il cui soggetto è la nascita di San Giovanni Battista. In una cappella a destra, ad opera di un allievo del Vasari, troviamo un affresco in stile antico, il cui soggetto è l’incredulità di San Tommaso.
Nella lunetta posta sopra la porta che conduce all’oratorio vi è un pezzo del Cocchi il cui soggetto è la predica di San Giovanni nel deserto, di cui molti hanno ammirato la precisa disposizione dei soggetti oltre che la bellezza dei caratteri di ogni singolo personaggio.
Nell’oratorio si trova, invece, un dipinto raffigurante la Danza di Salomè, attribuita a Pirro Logorio. Annesso alla chiesa è, appunto, l’oratorio dell’Arciconfraternita della Misericordia.
Di incredibile interesse è il chiosco nel quale venivano seppelliti i criminali dopo l’esecuzione e dove oggi sono ancora visibili le fosse comuni dei condannati a morte. Qui venivano sepolti sette alla volta, sei uomini ed una donna, coperti da chiusini in marmo sui quali ancora oggi si può leggere la dicitura latina “domine cum veneris judicare, noli me condemnare”, ovvero “Dio, quando verrai a giudicare, non mi condannare”.
Si dice che molti dei confratelli si fecero seppellire anonimamente con i giustiziati come segno di umiltà e per essere ancora vicini a coloro che avevano confortato fin sul patibolo.
Nella camera storica sono conservati molti cimeli relativi all’attività della confraternita, fra cui il cesto che raccoglieva la testa del giustiziato, la mannaia, l’inginocchiatoio sul quale Beatrice Cenci recitò l’ultima preghiera e la barella sulla quale i confratelli trasportavano i cadaveri dei giustiziati.
Molto caratteristica è l’urna con le fave bianche e nere, collegata al privilegio che la confraternita aveva di liberare un condannato a morte una volta l’anno, il 29 agosto. Le fave servivano per scegliere il fortunato e vinceva il condannato che aveva più fave nere.

Emanuela Maisto