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L’Ultima Opera di Francesco Borromini: Palazzo Falconieri

L’Ultima Opera di Francesco Borromini: Palazzo Falconieri in via Giulia e i Riferimenti alla Massoneria

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Conosciuto anche come Rufina o La Ruffina, è tra i più bei palazzi che si affacciano sulla via Giulia. Voluto da Alessandro Farnese nel 1520, passò per diversi proprietari: la famiglia Rufini, Francesco Cenci, la famiglia Sforza, il cardinale Giovanni Vincenzo Gonzaga e il cardinale Montalto. Oggi è sede dell’Accademia d’Ungheria a Roma. Questi la modificarono più volte, aggiungendo alla primitiva costruzione un nuovo edificio che successivamente divenne l’ala destra del palazzo progettato dal Borromini. Nella prima metà del 1628, la villa venne acquistata da Orazio Falconieri, di antica nobiltà fiorentina, il cui casato ne detenne il possesso fino al 1865. Ma è a Paolo Falconieri, figlio di Orazio, che si devono i lavori di rifacimento affidati a Francesco Borromini, il quale si dedicò, nell’ultimo periodo della sua vita, alla nuova costruzione. La scelta dell’architetto ticinese non fu solo di carattere tecnico o economico, ma, visti i rapporti e le affinità culturali e religiose che legavano Orazio Falconieri al Borromini, anche dovuta ad una solida amicizia e reciproca stima. L’architetto dovette subito confrontarsi con le aspettative del committente, operando attraverso un’attenta esecuzione. Oltre all’architettura l’artista pensò anche alla decorazione del piano nobile, rivelando così un’anima profondamente artistica, quasi pittorica. Abbellì le volte con ornamenti a stucco caratterizzate da raffigurazioni complesse, basate su immagini simboliche che uniscono agli elementi araldici dei Falconieri, raffigurazioni botaniche, emblemi tratti da antichi testi cinquecenteschi, simboli massonici e forme geometriche. Le quattro stanze degli stucchi si differenziano per i colori rosso, azzurro e verde e mostrano una varietà di elementi affascinanti e suggestivi. Con questi soffitti sapientemente trattati a stucco policromo e dorato, l’architetto realizza una maniera decorativa tra le più sorprendenti del barocco romano. Così nella stanza Rossa si trova il motivo simbolico del mondo come nesso spirito-materia, raffigurato con tre cerchi d’oro che rappresentano lo spirito, la materia e l’anima, con il sole raggiante nel punto d’intersezione. Nella stanza Azzurra, l’artista ha rappresentato l’Universo con l’occhio veggente, l’urobolo, l’axis mundi, il globo terrestre. Nei pennacchi compaiono squadre, compassi, cornucopie ed altri uccelli. Lo stesso Borromini a proposito scriverà “La serpe disposta in circolo nell’atto di mangiarsi la coda indica la perennità dell’Universale Sostanza. Così l’avevo dipinta al centro di una cornice ovale, insieme al Globo terrestre, lo Scettro e all’Occhio-che-tutto-vede”; la squadra invece potrebbe rimandare anche all’abaco che letto da dieci parti forma sempre il numero 34. Nelle ultime due stanze, Verdi, assistiamo ad una composizione più misurata, quasi classicheggiante, con foglie d’acanto, palme ed altri elementi vegetali, che formano una sorta di fregio continuo. Nelle lunette invece compare il falco, simbolo della famiglia. Anche sui pilastri laterali della facciata l’artista ha riportato l’emblema di due falconi anche in riferimento ad Horus, antico dio egizio, oltre che simbolo della famiglia proprietaria. Singolari le teste di falco poste come lesene o cariatidi, splendide realizzazioni del suo spirito visionario. Oggi il palazzo ospita l’Accademia d’Ungheria.

 

Emanuela Maisto