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Il paradosso del poliziotto

Due uomini sono seduti al tavolo di un bar. Un poliziotto e un giovane scrittore, che vuole scoprire alcuni segreti sulla tecnica dell’interrogatorio, informazioni utili alla stesura del suo ultimo romanzo.

Il poliziotto dichiara da subito di sapere come far parlare chiunque e inizia a raccontare la sua storia: studente di filosofia aveva deciso di fare il primo concorso per ispettori con la promessa di una vita avventurosa. Comincia così a svelare le pratiche del suo mestiere, ricordando le sue esperienze: “A parte ogni considerazione etica – e giuridica, naturalmente – una confessione ottenuta con le botte, o con altri sistemi analoghi, non dà nessuna garanzia di attendibilità”; “Il lavoro dell’investigatore ha molto a che fare con le storie […] Avevo la netta sensazione di interpretare una parte e nello stesso tempo mi sentivo del tutto naturale e spontaneo. Ero perfettamente diviso in due, e paradossalmente unico”. Attraverso un dialogo serrato, i due riescono ad elencare alcune regole fondamentali e non scritte: un uomo accusato parla quando viene trattato con rispetto; l’atteggiamento giusto deve essere il risultato di spirito di osservazione, capacità di dubitare, senso dell’umorismo, perché se uno si prende sul serio non è in grado di cogliere i particolari, che invece sono la cosa più importante. Il risultato di queste osservazioni sarà l’elaborazione esatta di un metodo: in un primo momento si crea un rapporto con il sospettato; poi si cerca di minimizzare e ricondurre a una qualche logica il suo comportamento; la terza fase è quella della proiezione delle responsabilità, che devono essere in qualche modo distribuite equamente con l’ambiente sociale, la famiglia, la situazione contingente. Questo è uno dei momenti più difficili, perchè c’è il rischio di confondere le cose e arrivare a giustificare il reato. Per cui, è necessario utilizzare le parole con moderazione, escludendo tutte le espressioni cariche dal punto di vista emozionale. Infine, l’ultimo passaggio, è quello nel quale è importante offrire onesti incentivi in cambio delle confessioni. Concludendo le sue riflessioni, il poliziotto arriva a descrivere la vera essenza di un lavoro che richiede “padronanza della tecnica e, insieme, consapevolezza del fatto che, spesso, i casi vengono risolti indipendentemente dalla tecnica. Richiede senso delle regole, etiche e giuridiche, e, nello stesso tempo, sospensione di ogni giudizio morale”, dove il caso e la fortuna giocano il più delle volte un ruolo determinante.

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Con “Il paradosso del poliziotto”, Gianrico Carofiglio – magistrato, scrittore, per anni Sostituto Procuratore Antimafia presso il tribunale di Bari – prova a raccontare il suo lavoro, raccogliendo personali suggestioni, segreti, osservazioni in un piccolo testo letterario che diventa una preziosa lectio magistralis sulla sua professione. E la forza di un pensiero laico che deve necessariamente guidarlo.

Informazioni:
Titolo: Il paradosso del poliziotto
Autore: Gianrico Carofiglio
Collana: I sassi Nottetempo
Pagine: 38
Prezzo: 4 euro
Anno: 2009

Ilaria Campodonico