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Miro’ al Chiostro del Bramante

Soddisfazione e grandi aspettative per la mostra di Mirò.

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Spirito multiforme, il suo linguaggio era fatto di macchie, grafismi, schizzi, impronte, abrasioni, suture e chiodi. I dipinti, i murales e le sculture di Juan Mirò al Chiostro del Bramante.

Prossime tappe della mostra saranno Verona e Genova, ma per il momento i grandi capolavori di Juan Mirò saranno ospitati al Chiostro del Bramante fino al 10 giugno. Alla conferenza sono intervenuti: Antonio Scuderi del Sole 24ORE Cultura, che espone chiaramente la sua volontà e lo scopo del suo lavoro, affermando con coraggio: “C’è bisogno di un rilancio della cultura nel nostro paese e noi con questa mostra speriamo di poter dare un nostro forte contributo. Siamo qui oggi per dire che si può”. In seguito ha preso la parola Elvira Camera Lopez, direttrice della fondazione Mirò, esprimendo la sua soddisfazione e le sue aspettative: “Mi piacerebbe che tutta Roma venisse a vedere la mostra”, e prosegue, “E’ un Mirò molto forte, fatto di poesia e luce. La luce è quella mediterranea di Maiorca, la poesia è quello che Mirò amava insieme con la cultura tutta”. Infine è intervenuta al dibattito anche la curatrice, ritenuta a livello internazionale una tra i maggiori esperti dell’opera di Mirò, Maria Luisa Lax Cacho: “Hanno allestito a festa questo luogo” e aggiunge “Quando era a Maiorca Mirò fa un ricordo critico di tutta la sua lunga opera. C’è una sala dedicata tutta alla pittura monocroma, in cui l’artista si sperimenta con il bianco e il nero, avvicinandosi all’arte giapponese, a quella popolare, all’avanguardia americana e all’arte primitiva. Energia e aggressività, caratteristiche che l’artista ha sempre avuto in tutta la sua attività, qui acquistano maggiore violenza come si può vedere nell’opera su carta del 1976, in cui inchioda il legno sperimentando ogni tipo di materiale. Mirò odiava la staticità”. Tutto questo è chiaramente visibile nel percorso della mostra. Infatti l’esposizione è suddivisa cronologicamente e tematicamente in nove sale in cui è racchiusa la produzione di Juan Mirò degli ultimi trent’anni della sua vita, quando finalmente concretizzò, a Maiorca, il suo grande sogno, allestendo un ampio spazio tutto suo, dove poteva lavorare protetto dal silenzio e dalla pace. In occasione della mostra è stato ricostruito scenograficamente proprio quell’ambiente lavorativo, il suo studio, che lui stesso amava considerare come un orto: “Quando potrò stabilirmi da qualche parte, il mio sogno è di avere un grande studio. Vorrei cimentarmi nella scultura, nella ceramica, nella stampa e avere un torchio. Vorrei anche , per quanto possibile, andare oltre la pittura da cavalletto. “Qui sono esposti anche tutti gli oggetti, i pennelli e gli strumenti che Mirò usava nella sua attività artistica. Affermava ancora: “Perdere il contatto con la gente, significa perdere se stessi” alludendo alla sua passione per i murales, che qui sono rappresentati da numerose fotografie e disegni preparatori. Spirito multiforme, il suo linguaggio era fatto di macchie, grafismi, schizzi, impronte, abrasioni, suture e chiodi. Nato e cresciuto a Barcellona inizia a disegnare da piccolissimo. Le sue prime opere si rifanno a stili presi dall’impressionismo, dal fauvismo, dal futurismo e dal cubismo. Con il suo primo viaggio a Parigi (1920) si avvicina al dadaismo e al surrealismo. Nel 1929 inizia la sua fase di sperimentazione artistica cimentandosi con la litografia, l’acquaforte e la scultura, la pittura su carta catramata e il vetro. Si fa strada in lui il desiderio per la tranquillità della campagna, di un posto dove potersi dedicare liberamente al suo lavoro. Allo scoppio della guerra civile, dopo un esilio in Francia fino al 1942, trova rifugio a Maiorca, da lui stesso definita: “poesia e luce”. Lascia la sua residenza a Barcellona e si trasferisce definitivamente a Son Abrines. A Palma comincia un intenso periodo di lavoro che lo vede anche riprendere in mano vecchi schizzi e ridipingerci sopra, dopo una lunga autocritica. Le immagini e i titoli rimandano sempre ai suoi temi prediletti come donne, paesaggi e uccelli. Ma l’iconografia si fa astratta, e le figure si amplificano e crea opere dalle pennellate confuse. “Il quadro deve essere fecondo, deve far nascere un mondo”, affermava. E’ questo il momento in cui, messo da parte il cavalletto, Mirò dipinge a terra, cammina sulle proprie tele, vi si stende sopra producendo spruzzi, e gocciolamenti, dove combina olii, acrilico e carboncino nero con segni di colore rosse e blu. Si passa poi ai dipinti sostanzialmente monocromi, tele di grande formato con olii sfumati, visionari e minimalisti, evanescenti e movimentati, che evocano la predilezione dell’artista per il nero degli espressionisti astratti americani e per la calligrafia orientale. Gli ultimi anni sono quelli in cui l’artista dipingeva con le dita, stendendo il colore con i pugni cimentandosi nella pittura materica, spalmando gli impasti sul compensato, cartone e materiali di riciclo. Questo periodo è rappresentato dall’opera “Personaggio, uccello” del 1976, un olio su carta vetrata, legno e chiodi. Sempre in questa fase ricorrono nella sua produzione i fondi blu, eterei e modulati. Durante tutto il percorso si possono ammirare le sculture frutto di sperimentazioni continue in cui compaiono materiali e tecniche più disparate come il collage e i dipinti-oggetto. “E’ nella scultura che creerò un mondo veramente fantasmagorico, di mostri viventi; ciò che faccio in pittura è più convenzionale”.

Chiostro del Bramante , Via della Pace;
Dal 16 Marzo al 10 Giugno
Tutti i giorni dalle 10,00 alle 20,00
Sabato e Domenica dalle 10,00 alle 21,00
Biglietti: Intero 12,00 euro ; Ridotto 10,00 euro

Emanuela Maisto