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Arabeski Rock – Il Viaggio

Pubblichiamo l’intervista agli Arabeski Rock in occasione dell’uscita del loro disco d’esordio, “Il Viaggio”.


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Nomen omen, dicevano i latini, e con un nome come il vostro c’è già una chiara indicazione di stile. Perché Arabeski Rock?

Tiziano: Il tutto nasce dal film Lawrence d’Arabia che con la sua meravigliosa musica scritta dal grande Maurice Jarre mi ha letteralmente folgorato. Da qui il desiderio di realizzare una musica con delle sonorità e melodie “arabeggianti” che si conciliasse però con la mia innata matrice rock.
Con l’aiuto di Claudio Gimmi (basso) abbiamo ricercato gli elementi giusti per creare un gruppo che avesse spiccate caratterizzazioni etniche da un lato, e dall’altro comprendesse musicisti dal linguaggio musicale efficace e moderno. Arabeski Rock è il risultato di una miscela di estrazioni culturali ed esperienze professionali diversificate.

Il viaggio rivela il vostro orientamento sonoro: quali sono i gruppi o gli artisti che vi hanno spinto a fare musica e che considerate delle “bussole”?

Venendo da periodi storici e generazioni differenti, l’ago della bussola si è spostato in diverse direzioni: dal favoloso rock degli ’70 (Frank Zappa, Jimi Hendrix, Pink Floyd, Genesis, Colosseum, Yes, King Crimson, Emerson Lake & Palmer, Soft Machine etc.) passando per il progressive italiano (Area, PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Le Orme) fino alla world music di Trilok Gurtu, Peter Gabriel, Sting e il nostrano Pino Daniele. Senza tralasciare le influenze della tradizione araba…

Colpisce nel vostro organico la presenza di musicisti nordafricani e mediorientali: che tipo di apporto hanno dato al gruppo e cosa avete imparato da loro?

Anche se attualmente l’unico elemento non italiano è il nostro percussionista di darbuka Ashraf Said di Alessandria d’Egitto, il nostro è un progetto che vanta collaborazioni con molti artisti dell’area del nord Africa e medio oriente. Collaborare con tutte queste ‘anime’ è uno scambio che arricchisce molto dal punto di vista musicale ma soprattutto umano.
Il confronto è a volte anche difficile: non sempre è semplice accettare la ‘diversità’, ma lo sforzo porta poi a un risultato che sfocia in una grande soddisfazione proprio mentre suoniamo assieme, tutti con le proprie differenze ma uniti in unico obiettivo: la musica.

Arabeski Rock nasce nel 2010 ma ogni suo membro ha una propria lunga esperienza, sia in studio che dal vivo: qual è il segreto per far convivere diverse anime?

Non crediamo esista un segreto o una ricetta; esiste un progetto interessante che abbiamo costruito con molti sforzi. A volte le cose non vanno come vorresti; ognuno ha le proprie esigenze, esperienze, umori… ma la nostra musica ci fa credere che questo è un progetto che funziona, e se le cose stanno così si trova sempre un modo per risolvere i problemi.

Si dice spesso che la musica è un “linguaggio universale”: la vostra storia ne è la conferma, giusto?

Senza dubbio. Anche fra di noi a volte è l’unico linguaggio che ci permette di comunicare.

Cosa pensate del nuovo rock italiano?

Il nuovo rock italiano? Quale rock? (ahahah)… Scherzi a parte, sento in giro una miriade di progetti del filone new wave/post-rock tutti molto simili tra loro e con poche idee; e poi molte cover band. Non metto in dubbio che ci siano anche progetti interessanti, ma le case discografiche e il mercato musicale in generale investono su altro. E’ un problema culturale molto ampio legato al momento storico, e a proposito di “stato di salute”, l’Italia ultimamente non è che stia molto bene.

Come sta la musica a Roma?

“Quanta gente portate?” – questo è il tema ricorrente. Il problema è ancora di natura sociale: poco interesse verso la cultura in senso lato da parte delle istituzioni. Ciò porta a scarsità di risorse con le quali investire. Il risultato è che ci sono molti locali e pochi spazi dove proporre un progetto di musica originale. Ancora qualche direttore artistico coraggioso c’è, ma si contano troppo facilmente.

I pezzi di Il viaggio sono molto suggestivi: anche dal vivo sprigionate la stessa energia?

Dal vivo è ancora meglio perché c’è la possibilità di esprimere e comunicare direttamente a un pubblico, che rimanda un feedback che finora è sempre stato estremamente positivo; per cui poi si innesca un ciclo virtuoso che si traduce in un flusso di informazioni emozionali fra noi e il pubblico in un crescendo di energia. Lavorando con il sequencer, riusciamo ad offrire oltre all’energia del live anche la precisione e l’accuratezza dell’esecuzione in studio.

Tra i vari progetti di Arabeski Rock c’è anche un musical, al quale state lavorando: cosa potete dirci?
Ancora top secret…

Informazioni:

Arabeski Rock: www.myspace.com/arabeskirock

Synpress44: www.synpress44.com