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Duran Duran – Rio

musica 130 - Duran Duran

Tanto bistrattati, ma sempre ricordati

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Nello scorso numero di Urlo mi sono abbandonato ad un curioso (?) esercizio (??) di stile (???), una sorta di articolo-invettiva (con ironia) su “Burattino senza fili” di Edoardo Bennato, artista da me non particolarmente amato, ma al quale riconosco gli evidenti meriti di un album che, ancora oggi, può essere considerato non solo un felice esempio di concept album tutto all’italiano, ma anche una pietra miliare per chi volesse confrontarsi con il genere cantautorale e rock nel nostro paese. Mi sono quindi bruciato un format adattabile anche al gruppo protagonista di queste poche righe: signore e signori, i Duran Duran. Tra le icone più rappresentative del decennio più curioso della storia, quegli anni ‘80 tanto bistrattati a posteriori, eppure sempre ricordati con nostalgia e un pizzico di rimpianto dalla generazione immediatamente precedente alla mia (svezzata negli anni ‘90 e rincretinita negli anni Zero), la band di Birmingham (complici anche una serie di video a dir poco patinati) è stata per tanto tempo considerata dai miei occhi e dalle mie orecchie come sopravvalutata, erroneamente e frettolosamente liquidata come capace di un pop al massimo discreto, ma nulla di più (e sì che il mio amore più sfrenato ed incondizionato per quel capolavoro che risponde al nome di “Ordinary world” avrebbe dovuto farmi intuire il mio grossolano giudizio). Riascoltando con più attenzione “Rio”, il loro secondo lavoro, targato 1982, la grandezza del gruppo appare in tutta la sua evidenza: in una carriera non certo priva di passi falsi, i Duran Duran hanno comunque saputo scrivere grandissimo pop da classifica, senza venire meno alle loro capacità, e hanno saputo interpretare musicalmente il loro tempo, contribuendo alla caratterizzazione di sonorità che ancora oggi risultano indimenticabili.

Flavio Talamonti