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L’ultima recensione: Gozzilla e le Tre Bambine Coi Baffi

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I Gozzilla e le Tre Bambine Coi Baffi, da Aprilia, hanno fatto la storia del punk di Roma e dintorni

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Come ultimo articolo per questa rubrica che ho avuto il piacere di curare per tanti anni, ho scelto un gruppo che, in qualche modo, è legato alla mia esperienza con Urlo e Rumori di Fondo. Un gruppo che ho ascoltato per la prima volta da adolescente quando, con i miei amici, volevamo coverizzarne un brano. Un gruppo le cui canzoni hanno fatto da colonna sonora a tante uscite (e bevute). 

I Gozzilla e le Tre Bambine Coi Baffi, da Aprilia, hanno fatto la storia del punk di Roma e dintorni. Operativi dagli anni ’90, nati dalle ceneri dei Monkeys Factory, hanno 3 album all’attivo di cui l’ultimo “Finché non creperò” uscito il mese scorso dopo ben 13 anni di stop. Sono un gruppo cult per tanti motivi: sono trucidi, esagerati, marci, veri, sporchi e ubriaconi. Si devono prendere così come si presentano, immediati, senza dietrologie o mezzi termini. Non fanno musica per commuovere o per far pensare, ma per intrattenere e portare avanti la loro attitudine, parlando di birra, risse, tifoseria violenta e ribellione. Un esempio: in questo ultimo loro lavoro c’è un brano che si intitola “Non ci sono più i bar di una volta” in cui lamentano l’assenza di quei bar pieni di vecchietti, ormai sostituiti da locali che offrono apericene, cocktail e fighetti. Poi ci sono due cover: una dei Corvi, “Ragazzo di strada”, e l’altra di Franco Califano “Io m’embriaco”, che dimostrano come le loro influenze italiane spaziano tra il rock’n’roll e il cantautorato stradaiolo e malinconico. E proprio il rock’n’roll è un elemento importante della band perché si insinua nel loro stile musicale tipicamente punk/oi con maestria, rendendo il sound ancora più accattivante. In fondo il progetto parallelo del chitarrista Jack Cortese sono i Bone Machine che da tempo calcano i palchi di Roma e non, con il loro rock’n’roll malato. L’album si divide come sempre tra brani goliardici e altri incazzati. È il disco Oi! di quest’anno, se non altro per la lunga assenza dalle scene dei quattro di Aprilia.
Il primo disco con il quale avevano creato scalpore anni orsono si intitolava “Al Bar dei Leoni”, 18 pezzi deliranti che univano il punk alla tradizione musicale italiana, alla birra fino ai film di genere sci-fi. Una sorta di miscuglio apparentemente senza senso, ma realizzato con così tanta onestà e faccia tosta da risultare accattivante e liberatorio.
Se volete spaccarvi la testa ad un loro concerto, il release party del disco si terrà il prossimo 27 marzo al Traffic. Io ci sarò e brinderò tra bestemmie, calci, pugni e grida svociate. Ciao!

Marco Casciani