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Russian Circles: al Monk una serata memorabile

Mike Sullivan, Brian Cook e Dave Turncrantz ritornano nella Capitale per presentare Guidance, il sesto lavoro della band

Altra serata memorabile al Monk: il club di Portonaccio si conferma luce e speranza per gli appassionati romani di live, ai quali, ormai, le possibilità di ascoltare ottima musica dal vivo in un contesto medio alto sono ridotte agli ultimi respiri. Già perché nel 2017 l’incuria, il degrado e l’incapacità imprenditoriale e politica di dotare la Capitale di strutture salubri, sicure (a norma di legge!), capienti hanno raggiunto livelli mai toccati prima.

Io sono stanco di dover andare a concerti previsti per le 21 e poi aspettare le 23.30 prima di vedere qualcuno sul palco. Sono stanco di dover denunciare il mancato rispetto del divieto di fumo in locali indoor, terribilmente stanco di dover acclarare mancati piani di emergenza, assenza di vie di esodo e porte per una rapida evacuazione. E tralascio volontariamente altre argomentazioni quali l’igiene e la formazione del personale.
Ma per fortuna c’è il Monk. E per fortuna sono passati i Russian Circles.
La band di Chicago ha già una storia di tutto rispetto che tra i successi più rilevanti può annoverare l’apertura al tour dei leggendari Tool nel 2007 ed i live condivisi con i Pelican ed i Mono.

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Mike Sullivan, Brian Cook e Dave Turncrantz ritornano nella Capitale per presentare Guidance, il sesto lavoro della band. Il nuovo disco riesce a conservare tutta la personalità stilistica del gruppo pur evolvendo lo stile del solenne Memorial verso una densità più cupa, più aspra e diretta. Lo schema di eterogeneità che spazia tra textures post rock ed aperture temporali in perfetto post metal viene rigidamente conservata.
Il concerto comincia con Asa seguita da Vorel e Deficit. Tra un pezzo ed un altro non c’è sosta, muri di doom-drone rendono l’esibizione legata da un filo conduttore unico che non lascia respiri. Il buio on stage è tanto onnipresente quanto profondo: scattare fotografie diventa un’impresa titanica.

Si prosegue con 309, bellissima… martellante e meravigliosamente doom, e poi Afrika, tra le più intense del nuovo disco, Harper Lewis e 1777, dove le sonorità si attenuano per lasciare spazio e proiezioni wave. Il pubblico ascolta immerso ondeggiando teste e membra sui beat di Turncrantz, alieno vero.

Mota e la sublime, psych-metal, Mladek suggellano la vittoria assoluta dei Russian Circles. L’ovazione finale serve solo ad accompagnare Youngblood in versione epica epocale.

In apertura i Cloackroom, statunitensi anche loro, che si lasciano gradevolmente apprezzare: 7 brani ed una quarantina di minuti immersi nei loro riverberi di shoegaziana memoria.

David Gallì

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