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Shellac@Extra di Recanati (07/10/2010)

Live report del concerto degli Shellac all’Extra Alternative Club di Recanati.

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Ebbene si, questa volta ci siamo fatti una bella trasferta in quel di Recanati, dove Leopardi si innamorò di Teresa Fattorini, e diede vita al suo più scuro pessimismo che tutti abbiamo studiato – e ingiustamente odiato – a scuola.

Recanati è una cittadina fantasma in questi giorni di inizio ottobre. Qui gli orari di chiusura dei negozi rispettano lo scandirsi delle ore che passano e che segnano la vita dei suoi abitanti. Il centro è piccolo e curato, un gioiellino in terra marchigiana. Il porto dà l’idea di marinai che bevono birra e pescatori che gettano le loro reti stancamente, con la maglia a righe e il cappello marinaro sul capo. Affondando i piedi nell’acqua ormai ghiacciata dell’Adriatico mi viene da chiedermi come mai gli Shellac abbiano deciso di fare un concerto proprio a Recanati.

Ci si imbarca così verso l’Extra Alternative Club, un locale davvero degno di nota. Una parte chiusa, che probabilmente ospita un ristorante e forse qualche sala adibita a spettacoli cinematografici, e l’ala aperta dedicata alla musica live e alle serate della movida cittadina. Notiamo che il concerto della serata è inserito all’interno di una più larga manifestazione chiamata “The Vanishing Era”, una rassegna “indipendent groove” di band affermate come gli Heavy Trash di Jon Spencer, i Melt Banana, Liars e, appunto, gli Shellac, organizzata dalla Hot Viruz.

Si entra, con qualche attesa per le liste accrediti, risolta fortunatamente in breve tempo. Visto il lungo viaggio per assistere alla serata, abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Il bar è davvero poco fornito, il dj set è interessante, le sale sono ampie e l’ambientino che ci ritroviamo davanti, a metà tra il circolo culturale, il cinema abbandonato dove passano b-movies a tarda notte e il localone cittadino, stimola sensi e sensazioni miste. Attendiamo con ansia che salgano sul palco i Bellini, chiamati ad aprire le danze. Giovanna Cacciola (Uzeda) ha una voce spiazzante, aggressiva e selvaggia. I Bellini sono rumorosi e ritmici, prepotenti nel sound piuttosto punk-noise di non facile percezione. Spingono parecchio, esattamente come la gente accalcata ai bordi di questo palchetto senza transenne né limiti, che ci costringe a rimanere indietro e a goderci il live da un’angolazione diversa. Il quartetto è completato da Agostino Tilotta, marito della Cacciola, il bassista Matthew Taylor (the Romulans) e il batterista Alexis Fleisig (Girls Against Boys, Soulside). Al banchetto del merchandising si nota la lunga e avviata carriera della band, che ci ricorda la collaborazione di vecchia data proprio con Steve Albini, il leader degli Shellac ma conosciuto soprattutto per essere un produttore discografico molto affermato. Albini, infatti, ha collaborato con moltissime band internazionali (tanto per citarne alcune delle più conosciute: Flogging Molly, Fugazi, Gogol Bordello, Jon Spencer Blues Explosion, Manic Street Preachers, Melt-Banana, Nirvana, Pixies, Sonic Youth, The Stooges) ed è inoltre uno dei fondatori di band come i Big Black (con cui è stato criticato per l’incisione di un 45 giri intitolato “Il Duce”, la cui copertina raffigurava Benito Mussolini e sullo sfondo il tricolore)  e i Rapeman. Probabilmente è anche per questo che queste due band sono legate indissolubilmente, accompagnandosi in questo tour mondiale che attualmente ancora prosegue. Unite nella crescita come nel sound.

Quando salgono gli Shellac noi siamo in prima fila. Ad un metro abbiamo Steve Albini (voce e chitarra), Bob Weston (basso) e Todd Stanford Trainer (batteria) a montare i loro strumento. Poi inizia uno show potente, scatenato e coinvolgente. Il math-rock prende gli animi del pubblico fin nelle viscere: si improvvisano stage diving, cadute rocambolesche ai piedi del fantastico trio, pogo selvaggio e martellante. Loro sono strani. Albini è un incrocio tra un nerd e un impiegato delle poste: non ride, scherza poco, parla ancora di meno ma imbracciando la sua chitarra (anzi, non proprio: la chitarra ce l’aveva legata a mò di marsupio) si scatena, urlando e saltellando nel suo metro e mezzo di spazio. Trainer picchia duro su quei piatti, suda tantissimo ed è totalmente preso dal ritmo, insaziabile e incontenibile. Weston è un simpaticone: il suo look lasciava a desiderare, ma lui andava orgogliosissimo della sua maglia arancione acceso, sentenziando con un pubblico che, in inglese maccheronico, cercava di richiamare l’attenzione ponendo delle domande interessanti quanto un libro di idraulica applicata.

In scaletta “Dog and pony show”, “Canada” e “Prayer to God”. E a proposito di scaletta, ci sarebbe piaciuto riuscirla ad arraffare, come di solito facciamo. Invece i tre omaccioni prendono e se la nascondono tra le loro cose. Smontano tutto e si chiudono nel camerino. Albini non s’è più visto, se non quando saliva sul pullman. Il banchetto del merchandising ha continuato ad ospitare solo i Bellini. Nessuna t-shirt, nessuna spilletta e nessun album. Peccato, ci sarebbe piaciuto comprare un bel vinile a fine serata, visto la qualità del live e la sensazionalità dello show. Ma pazienza, li vediamo allontanarsi velocemente verso la prossima tappa del loro tour. Anche noi ci allontaniamo dal locale, che chiude poco dopo la fine del concerto, birra alla mano e un inizio di acufene a entrambe le orecchie. L’indomani si riparte verso Roma, pregni di quella che è stata un’interessantissima trasferta, immersi nella storia della letteratura italiana e in un pezzo di quella musicale americana.

Informazioni:
http://www.myspace.com/bellini
http://www.myspace.com/shellacband
http://www.extracinemusic.com/
http://www.hotviruz.com/


Serena Savelli