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Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano @Teatro Scala Uno di Roma

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Tratto dal libro Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, il piccolo capolavoro del popolare scrittore francese Eric-Emmanuel Schmitt, pubblicato in Italia da e/o, è andato in scena lo scorso fine settimana, nel suggestivo Teatro Scala Uno di Roma, uno spettacolo intimo e commovente interpretato dai SuonaTtori, ovvero la voce narrante di Giordano Di Palma accompagnata dalle musiche originali eseguite dal vivo da Stefano Belardinucci, Alberto Maria Del Re, Francesco Marino e Mattia Pancotti.

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Il delicato racconto di Schmitt, già adattato al cinema dal regista François Duperyon nel 2003 con uno strepitoso Omar Sharif nei panni del grande saggio Ibrahim, è la storia di un incontro tra un uomo ormai anziano e un adolescente: Monsieur Ibrahim, per tutti l’arabo del quartiere benchè egli non sia affatto arabo, e Mosé-Momo, figlio tredicenne di un ebreo distante e depresso, incapace di raccontare al figlio le cicatrici che l’ Olocausto gli ha lasciato, perchè “essere ebrei significa solo avere ricordi brutti”.

Sullo sfondo di questa favola moderna c’è la Parigi degli anni ’50, ingenua e dai colori pastello come un acquerello impressionista. È in questa fiabesca “città degli incroci”, come l’ha definita Goffredo Fofi nella postfazione all’edizione italiana del libro, dove le strade hanno nomi come rue Bleue e rue de Paradis, che cresce l’amicizia tra il vecchio musulmano e il giovane ebreo, l’uno alla ricerca di un figlio, l’altro di una famiglia che se ne prenda cura.

Il viaggio finale verso est, a bordo di una macchina rossa che nessuno dei due sa davvero guidare, alla volta di quella Mezzaluna d’Oro da cui proviene Monsieur Ibrahim, si rivelerà un punto di svolta, un po’ amaro e dolente, per la vita di entrambi.

La diffidenza iniziale tra i due, che poi si trasforma in buffa e tenera amicizia, è stata interpretata alla perfezione sul palcoscenico dalla voce di Di Palma, che ha impersonato non solo i due protagonisti. Il jazz un po’ francese dei quattro musicisti, tra fisarmonica, percussioni, contrabbasso e tastiere, è stato il necessario e fedele contrappunto della narrazione orale, allegro quando il racconto diventava più leggero, sommesso quando la storia prende una svolta tragica alla notizia della morte suicida del padre di Momo.

Non ha alcun intento didascalico Schmitt in questo racconto, che è semplicemente la storia di un incontro tra due esseri umani, prima che tra due culture e religioni differenti. L’autore traccia una road-map della convivenza facilissima da mettere in pratica: per conoscersi, bisogna venirsi incontro, abbattere i pregiudizi e lasciarsi guidare dai dettami del cuore.

Le 94 pagine del libricino di Schmitt saranno state forse troppo poche per l’adattamento cinematografico, come alcuni critici hanno scritto, ma sono di certo perfette per essere portate in teatro, luogo per eccellenza dell’essenziale e del minimalismo. E questo adattamento, così delicato e tenero, è senza dubbio riuscito.

Uno spettacolo che, per la delicatezza dei toni e delle atmosfere, è sicuramente adatto per essere portato in scena nei teatri delle nostre scuole, oggi così pieni di volti e suoni di culture diverse che si incontrano e si conoscono ogni giorno, senza pregiudizi o stereotipi, con il candore tipico di un’età in cui la curiosità verso l’altro è pura e semplice curiosità.

Chiara Comito