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“Lavoro da morire” al Teatro dell’Orologio: una morte bianca raccontata da un operaio

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Lavoro e morte si incontrano tragicamente troppe volte e restano inascoltati, perché persino questo binomio tremendo è diventato abitudine.

L’Italia è la nazione europea col maggior numero di morti sul lavoro, ogni sette ore un operaio perde la vita, dal 1995 al 2004 siamo stati il Paese con la minor diminuzione delle morti bianche e solo nel 2009 ci sono stati 1000 caduti sul lavoro. A ricordarcelo arriva una compagnia toscana, la Catalyst, che si è occupata della promozione di questo spettacolo, scritto e diretto da Riccardo Rombi e con l’interpretazione di Jacopo Gori. Ed è proprio un imbianchino, Gori appunto, che nel monologo interpreta Mario, operaio di 45 anni, innamorato di Maria, la collega che lo inizierà alla lettura e lo vedrà morire per lavoro. Dopo Pippo Delbono che l’anno scorso aveva portato nei teatri italiani la tragedia della ThyssenKrupp con “La Menzogna”, arriva un altro invito a farsi parte di questa realtà tutta italiana che continua a restare in ombra, tra il disinteresse e il volontario occultamento dei media. Rombi parla del protagonista del suo monologo come di “un personaggio nel limbo”, incosciente, lontano dalla consapevolezza di essere morte ma già proiettato a ripercorrere la sua vita. Una vita che si materializza con i suoi racconti a tinte forti, di un’infanzia fatta di colori, gli stessi che poi gli procureranno la morte in fabbrica, fino ad arrivare alla maturità, all’incontro con una donna, Maria, che secondo il regista “incarna quella che una volta era la missione dei sindacati: l’elevazione morale e culturale”, attraverso il potente strumento della lettura. Quando gli chiediamo se la scelta di un “attore-operaio” sia stata fatta per ottenere effetti di maggiore realismo o per facilitare la simpatia (in senso greco) tra attore e pubblico, ci risponde: “Ho scelto dopo l’ideazione e la stesura del testo e mi sono accorto con stupore di come la parte gli si cucisse addosso, quindi la considero quasi una scelta dovuta, un fatto di destino”. Lo spettacolo si anima di moti continui, è un condensato di vita non solo reale ma vissuta, chi assiste ad una recita non può evitare di interrogarsi sul valroe del lavoro, sui limiti che necessariamente bisogna porvi e sul senso di responsabilità che dovrebbe accompagnare chi il lavoro lo gestisce nei confronti di chi lo fa materialmente e troppe volte muore senza colpa, facendo il “proprio dovere”. Soprattutto ci si accorge ancora una volta di come, a differenza del lavoro, la morte non può trasformarsi in un “dovere”.

Teatro dell’Orologio, Via dei Filippini 17
Dal 2 al 14 Marzo
ingresso: € 10,00 / 8,00

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Di seguito un estratto dello spettacolo:
http://www.youtube.com/watch?v=7kv8ZkPRkRE

Stefano Cangiano