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Torri Eur: il Tar dà torto a Roma Capitale

La società Alfiere non dovrà versare al Comune i 24 mln di euro richiesti. Vince il privato sul pubblico: il quartiere non avrà le sue opere sulla viabilità

Tratto da Urlo n.152 dicembre 2017

EUR – Il Tar si è finalmente espresso sulla querelle ancora aperta tra la società Alfiere (50% Cassa Depositi e Prestiti e 50% Telecom), che si dovrà occupare della riqualificazione delle Torri dell’Eur, e il Comune di Roma, riguardante il versamento di 24 milioni, richiesti da Roma Capitale alla società, a titolo di contributo straordinario.

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LA SENTENZA – Il Tribunale, per la seconda volta, ha dato ragione ad Alfiere. La società, infatti, viene totalmente svincolata dal dover pagare i 24 milioni di contributo straordinario richiesti dal Comune di Roma per la riqualificazione delle Torri dell’Eur, in quanto tali oneri, secondo il Tar, erano legati a un vecchio progetto del 2009 mai realizzato che prevedeva la distruzione e la ricostruzione degli edifici. In questo caso, invece, il nuovo piano aveva previsto un restauro conservativo, quindi il contributo da versare si riduceva drasticamente a solo un milione di euro.
La sentenza è stata depositata il 24 novembre scorso e riguarda la seconda parte del ricorso fatto da Alfiere qualche tempo fa. La prima, su cui il Tribunale già si era espresso favorevolmente, riguardava la revoca del permesso a costruire da parte del Comune nel luglio 2016, poi rivalidato. Un ricorso vinto a piene mani dalla società che non fa ben sperare su ciò che attualmente rischia Roma Capitale, che potrebbe vedersi costretta a sborsare 328 milioni di euro. Questo il “conto” richiesto da Alfiere al Comune per aver sospeso i lavori e provocato l’uscita di Tim, commisurato al mancato guadagno della società.

COSA È SUCCESSO – Anche se la sentenza del Tar è andata decisamente contro l’operato del Comune di Roma, ci sono alcune precisazioni da fare, risiedenti nelle motivazioni per cui l’ex Assessore all’Urbanistica dell’attuale amministrazione capitolina, Paolo Berdini, decise nel luglio del 2016 di mettere uno stop al cantiere e revocare il permesso a costruire ad Alfiere. Inizialmente, quando sulle Torri insisteva il progetto residenziale di Renzo Piano (mai realizzato), erano previsti 24 milioni di oneri concessori che il privato avrebbe dovuto dare al Comune per la realizzazione di una serie di opere su viabilità, infrastrutture e parcheggi, necessarie alla buona vivibilità del quadrante e a sostenere l’impatto della nuova opera nascente. Successivamente il progetto di Piano naufragò e si decise di cambiare rotta: abbandonato il piano di abbattimento e ricostruzione, verso una nuova idea di recupero dell’esistente per poter creare degli uffici, destinazione originale degli edifici che un tempo ospitavano il Ministero delle Finanze. In questo modo fece il suo ingresso in scena Telecom, che proprio lì voleva creare il suo headquarter. Prospettiva salutata con gioia dalla Giunta Marino e dall’Eur Spa che vedevano nella multinazionale la possibilità di riqualificare le Torri, ormai note come “Beirut,” e la possibilità di valorizzare la quasi nascente Nuvola di Fuksas e l’adiacente albergo Lama che, con quel panorama, difficilmente poteva essere venduto (cosa che perdura ancora oggi, del resto). L’ipotesi di Tim, però, non era tutta rose e fiori e non abbiamo mai perso l’occasione di rimarcarlo. L’Assessore all’Urbanistica della Giunta Marino, Giovanni Caudo, non accampò mai la pretesa dei 24 milioni di oneri concessori dovuti da Alfiere in quanto legati a un progetto precedente e, non è difficile intuirlo, ostacolo per qualsiasi soggetto privato che lì volesse fare un investimento di quel tipo. Proprio la certezza che questa somma, invece, doveva essere versata, portò Paolo Berdini della Giunta Raggi addirittura a mettere uno stop al cantiere, provocando ciò di cui si sta parlando oggi. È ovvio che quest’ultimo avrebbe dovuto meglio considerare le conseguenze delle sue azioni, ma non si può non evidenziare che il non richiedere i 24 milioni di contributo straordinario, non pianificando del resto nessuna opera accessoria su viabilità e parcheggi, sarebbe stata, se portata a termine, un’operazione disastrosa, considerando che Tim avrebbe mosso nel quartiere, ogni giorno, 5000 dipendenti.

LE INFRASTRUTTURE NON PREVENTIVATE – Il problema fondamentale è sempre lo stesso: non è possibile pensare a opere mastodontiche e impattanti per la cittadinanza che non contemplino la realizzazione di interventi necessari alla vivibilità dell’area. L’aver riconvertito in passato il progetto da ricostruzione a riqualificazione, dando quindi la possibilità al privato di non pagare la somma originaria di oneri concessori che potevano essere utili per la comunità, è forse stato ugualmente un errore. In questa vicenda, gestita in modo poco oculato da più amministrazioni, nessuno esce vincitore: i cittadini, che continuano a vedere quella porzione di quartiere nel degrado e che, da tutta questa storia, non hanno guadagnato nulla; il Comune, che rischia di dover affossare ancora di più le sue finanze se il Tar si esprimerà a suo sfavore ancora una volta. L’unico a guadagnarci è il privato e, quando è il solo a trarne giovamento, è evidente che siano stati commessi molti errori. Sbagli da cui è auspicabile che si riescano a trarre degli insegnamenti, al fine di riconsegnare alla cittadinanza un pezzo di quartiere. Ma non riqualificandolo a tutti i costi, cercando forsennatamente un modo che accontenti pochi e scontenti in molti (soprattutto i cittadini). Come già detto in passato, chissà che la soluzione, su queste “torri dello scandalo”, non sia proprio la loro distruzione.

Serena Savelli