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Bella sì, ma ci vivrei?

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Sono tante le persone che lasciano Roma per trasferirsi altrove, non necessariamente all’estero, ma anche in contesti italiani più piccoli e a misura d’uomo. Pare che la nostra città sia estremamente stimolante fino, circa, ai trent’anni, per diventare poi una trappola di tempi molto stretti, coincidenze spesso sfortunate e ansia da prestazione per compiere qualsiasi dovere o piacere, dall’andare al lavoro al fare la spesa al supermercato, dall’uscire la sera con gli amici al prenotare un tavolo di sabato sera in uno qualsiasi dei tanti ristoranti della città. Vivere a Roma è correre costantemente, combattendo contro le problematiche tipiche di una grande metropoli (forse da noi accentuate, ma tutte le realtà di questo tipo hanno a che fare con questioni di caos e poca tranquillità), mettendoci su lo sporco, i mezzi pubblici che non funzionano, il traffico, le condizioni delle strade pessime, gli alberi che cadono, la poca educazione delle persone, la disaffezione generale per le problematiche della città, il sostanziale e tragico abituarsi al peggio.

Recentemente sono incappata in Quora, una rete sociale dedicata all’informazione online in cui le persone pongono delle domande e altre rispondono. Al quesito “Roma è davvero una città invivibile?” la maggior parte dei riscontri sono stati affermativi, ma ho notato che essi provenivano soprattutto da persone non native, trasferitesi da centri più piccoli, magari temporaneamente, e quindi non abituate a un certo tipo di vita frenetico e, di certo, poco tranquillo.

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I romani, invece, cosa ne pensano? Ho attivato un piccolissimo “focus group” tra i miei conoscenti, utile ad avere una panoramica realistica tra persone della fascia di età più critica (25-40 anni) e ne è emerso che, messi da parte problemi lavorativi o esigenze personali, la percentuale di chi abbandonerebbe Roma non è così alta come credevo. Chi è convinto che se ne andrà alla prima occasione, o magari l’ha già fatto, lo fa, secondo quanto emerso, per trovare un luogo più tranquillo, dove radicarsi e consolidare una famiglia più facilmente. Oppure perché trova intollerabile doversi muovere con il mezzo privato, perché magari vive in zone periferiche e scollegate. Chi andrebbe via senza guardarsi indietro lo farebbe, in sostanza, per non vivere quotidianamente uno stress inutile e dannoso.

Si parla spesso solo dei motivi che ci indurrebbero a lasciare Roma, e non a rimanere. Ma indagando su questi ultimi si scoprono ragioni davvero interessanti e poco indagate: l’appartenenza sociale e culturale, certo, ma anche gli stimoli e le occasioni che la nostra città offre rispetto a molte altre, la sua vitalità, l’energia, la possibilità di avere sempre una scelta, a patto che si impari a vivere di stratagemmi, a sopravvivere in un clima spesso difficile da tollerare. E, non ultima, quella “bellezza che vince sul disagio”, come dichiarato da un intervistato, che romanticamente ogni romano ancora vede, nel profondo. Ne emerge, dunque, un’affezione da sfruttare, un vero e proprio carburante che credevo si fosse perso nelle persone. C’è molto lavoro da fare, lo sappiamo tutti. E allora, buona fortuna a chi va, ma soprattutto a chi resta.

Serena Savelli