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Di Maio, la lotta al gioco e la contraddizione che non ti aspetti

CAMPOBASSO – Luigi Di Maio, dopo il trionfo alle elezioni dello scorso 4 marzo e l’altro trionfo, quello che l’ha portato al Ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico, si è imposto come figura centrale nel dibattito politico italiano, come non mai. Ma ultimamente il Ministro, nonché Vice premier, è finito anche al centro di “manovre” sulla sua stessa manovra: ha saputo di modifiche a sua insaputa, ne ha apportate altre secondo la sua unica volontà.

La settimana italiana si è conclusa con le “manine”, potremmo sintetizzarla così. Al centro dell’attenzione è finita la manovra fiscale, presentata all’Italia e alla Commissione Europea, che l’ha prontamente bocciata: incerte le coperture, troppo alto il rischio sforamento rispetto ai parametri fissati dalla UE. E il governo che ha fatto? L’ha presa poco sul serio, a fronte di una situazione difficile nel nostro paese, sull’orlo di un dramma. Ed è così che negli scorsi giorni sono andate in scena vere e proprie rappresentazioni teatrali, a partire dalla subito virale “manina” del vice premier a 5 stelle: qualcuno, a sua insaputa, avrebbe manipolato le carte. Un qualcuno all’intero del suo stesso ufficio. Il Decreto Fiscale sarebbe stato modificato a insaputa del leader grillino: ma prima, addirittura, sarebbe stato approvato e inviato al Quirinale. Cosa che non è mai accaduta: difatti il decreto è tornato in consiglio dei Ministri, dove è stato revisionato e nuovamente approvato, in una forma definitiva e diversa. Stavolta è successo davvero.

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Ma l’unica manina su cui insistere era proprio quella di Di Maio, anche alla luce della sua partecipazione a Porta a Porta, dove ha presentato, come da prassi, la Manovra agli italiani. Il Ministro, come suo solito, aveva annunciato nuove dosi alla tassazione dei giochi, il suo cavallo di battaglia, quella da lui stesso identificata come “piaga sociale” per eccellenza. Il governo vuole arginarla. Combatterla, stigmatizzarla ma nella manovra non si ha nessun paragrafo che comprenda i giochi né la tassazione al settore già percosso dal Decreto Dignità della scorsa estate. Forse questa misura a cui accennava Di Maio era una misura ad personam, propria della volontà del vice-premier, o forse si è trattato di una semplice strategia comunicativa per prevenire e proteggere l’unica misura fiscale riferita tout court al gioco: la nascita di una nuova lotteria, chiamata “dei corrispettivi”. Una anomalia rispetto alle idee annunciate e perseguite dal governo in ottica giochi, estromessa anche dal divieto di pubblicità che è previsto nel Decreto Dignità. Sarebbe un paradosso, messo già a tacere dalle trovate mediatiche del vertice governativo.

L’aumento della tassazione per il settore dei giochi, per quanto assurdo, era ed è ampiamente prevedibile quando ci si misura con un governo completamente restio all’industria e ai suoi prodotti ma, francamente, l’introduzione di un nuovo prodotto da gioco è stato un colpo difficile da spiegare: ma non si voleva liberare la società da una vera e propria piaga, debellando l’azzardo e riducendo drasticamente le offerte dell’industria nel nostro Paese? Nessun dialogo, nessuna possibilità di replica per un comparto che deve tacere e trovare così a confrontarsi con un nuovo competitor: la lotteria gestita dallo Stato, senza intermediari. Unica, con la Lotteria Italia, a poter essere pubblicizzata. Un capolavoro, disastroso però. Entro la fine dell’anno, però, dovrebbe arrivare il riordino dell’industria del gioco: siamo ai soliti annunci, ma si attende speranzosi. Come da prassi, ormai: non resta che attendere.