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Chi sa di temere, teme

L’editoriale di dicembre di Urlo

Negli ultimi tempi, soprattutto dopo i fatti di Ostia, si è sentito spesso parlare di odio nei confronti dei giornalisti. Lo stupore derivato dall’aggressione dell’inviato Rai mi ha colpita molto. Questi fatti deprecabili, infatti, rappresentano solo la punta di un iceberg costruito nel tempo, giorno dopo giorno, e mi lascia perplessa il fatto che nessuno abbia provveduto ad arginare la questione.

Del resto il fomento dell’odio nei confronti della professione giornalistica c’è sempre stato. La posizione di chi, per lavoro (e per passione, perché chi sceglie questo mestiere non può non averla), decide di mettere a disposizione le sue conoscenze a un pubblico di lettori o spettatori, è sempre stata in bilico tra la nobilitazione e l’affossamento. Eppure, quello che tentiamo di fare ogni giorno è un servizio, qualcosa di utile per la comunità. Con le dovute eccezioni certo, le mele marce ci sono ovunque, di opportunisti ne è pieno il mondo, per carità. Ma la generalizzazione è sempre dannosa, come la rabbia cieca verso una categoria di persone solo perché fanno parte di un gruppo connotato da una qualsiasi caratteristica, che sia la razza, la religione, l’orientamento sessuale e sì, anche la professione.

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In particolare negli ultimi anni i giornalisti sono stati sempre più spesso oggetto di rancore, fomentato da una categoria di persone che probabilmente non solo ignorano cosa significhi lavorare, in molti casi, rischiando la propria incolumità, ma soprattutto che non hanno rispetto, in generale, per chi ogni giorno si alza la mattina per svolgere un ruolo, così come fa il fornaio sotto casa, l’impiegato, l’operaio o l’imprenditore di turno. Questo è sbagliato, perché un sentimento così indiscriminato è dannoso per la società dove esso si instilla, la logora e la divide, rendendola sempre più debole.

I giornalisti vengono minacciati, querelati, diffamati, imbavagliati. Da sempre si cerca di togliergli la parola di bocca e la penna di mano perché hanno il potere di creare e cambiare l’opinione pubblica. E questo fa paura. A volte restano feriti, come è successo a Ostia. Altre volte vengono uccisi, come accaduto a Malta a Daphne Caruana Galizia, rimasta vittima di un attentato, personaggio di spicco nel giornalismo investigativo maltese. Probabilmente è stata assassinata, per dirlo con le parole di suo figlio, “perché si è trovata in mezzo, come altri giornalisti coraggiosi, tra la legge e coloro che cercano di violarla”.

Il giornalismo è una risorsa, non qualcosa da temere. Lo osteggia chi sa che ha qualcosa da nascondere, chi può essere smascherato. E se così fosse, non sarebbe meglio saperlo?

Serena Savelli