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Con la matita in aria

charlie hebdo

Dopo gli attentati di Parigi si riflette sul concetto di “libertà di espressione”

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Poche settimane fa ci ha raggiunti la notizia del terribile attentato alla redazione del Charlie Hebdo, settimanale satirico parigino, dove sono rimaste uccise dodici persone tra cui il direttore della testata, Stéphane Charbonnier, detto Charb. Il giornale aveva già avuto problemi in passato per via delle sue vignette irriverenti sul mondo islamico, come nel precedente attentato del 2011 in cui la redazione venne distrutta. Il 7 gennaio 2015 due uomini armati di kalashnikov hanno fatto irruzione nei loro uffici ed hanno ucciso alcune persone della redazione e due poliziotti. Molti sono stati i feriti e il tragico evento ha collezionato altre vittime nei giorni seguenti. Charb era inserito nella lista degli uomini più ricercati da Al-Qaeda per crimini contro l’Islam, ma la sua filosofia era chiara e coraggiosa: “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”. Un pensiero a cui è rimasto fedele fino in fondo. 

La redazione non si è lasciata intimidire e il 14 gennaio, ad una settimana dall’attentato, ha messo in piedi una straordinaria operazione mediatica (e di marketing, indubbiamente), uscendo in 16 lingue con 3 milioni di copie (a fronte delle sue 60mila di tiratura standard). In Italia il Charlie Hebdo è uscito con il Fatto Quotidiano ed è andato sold-out in pochissime ore, divenendo un oggetto di culto venduto a cifre stellari su Ebay.

Questo fatto ha portato ad una riflessione importante sul mondo dell’informazione, ma soprattutto sul concetto di libertà di espressione. In tanti hanno dimostrato la loro solidarietà alla testata (ad esempio i fumettisti di tutto il mondo hanno fatto a gara per proporre le loro vignette dedicate, alcune estremamente toccanti), mentre altri hanno sparato a zero su quanto la satira, spesso, possa andare oltre l’etica. Ebbene, la satira (che in Italia non esiste quasi più, i cui ultimi esempi probabilmente sono stati spazzati via dal berlusconiano diktat bulgaro del 2002) è un concetto ampio, che si è modificato nel tempo e viene interpretato e sviluppato in modi diversi, ma il punto qui non è difendere l’operato di una testata satirica piuttosto che di un’altra, ma a difendere la libertà di espressione. L’umorismo di Charlie Hebdo è connotato da irriverenza e sregolatezza e, ovviamente, non a tutti piace. Ma è qualcosa che esiste, alcuni lo considerano una forma d’arte, e probabilmente viene preso così tanto di mira perché scuote le masse riuscendo a “sputare” in faccia alle persone i più intimi pensieri che il perbenismo comune sopprime. La satira non può essere pulita e buona, deve essere provocatoria e audace, rischiando l’impopolarità. Farsi una risata (e provare a vedere il valore di ogni forma creativa con la mente aperta) può essere una potentissima arma di libertà di cui sarebbe un grave errore privarsi. D’altronde, se non piace, c’è sempre la possibilità di scelta: non vedere, non comprare, nulla di più facile.

Serena Savelli