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Cosa stiamo diventando?

È lecito domandarselo, di questi tempi. Sanguisughe, mercenari, parassiti sociali, bamboccioni, tamarri, violenti, galline senza cervello, superficiali, ignoranti, maleducati.

Nel mondo di oggi si trova un po’ di tutto questo, e non c’è un particolare strato sociale che racchiuda una delle categoria. Tutti sono capaci di tutto, dal più ricco al più povero, dall’uomo di mondo al ragazzino che puzza di latte.

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Inutile rivangare le decine di prese in giro che ci cadono sulla testa come mazzate dall’alto. Spesso mi chiedo se chi ci governa – e ci ha governato in passato, perché l’ignoranza non ha colore politico, né sesso, né razza, né età – sappia cosa significhi la parola “rispetto”, se questo meraviglioso vocabolo esiste nei dizionari di politichese o se invece nei corsi di comunicazione oggi insegnano che è indispensabile calpestare la dignità delle persone per riuscire ad occupare una poltrona ai piani alti. Ecco, la dignità: concetto affascinante. È l’unica cosa che arricchisce ogni persona, e che nessuno può togliere o calpestare. Ma è un valore fragile, minacciato dall’arroganza e dalla superbia di chi ci circonda e sta a ognuno di noi difenderlo con le unghie e con i denti. Come dicevo, non voglio rivangare, il rancore e la rabbia sono fini a se stessi. Ma una cosa devo dirla: i giovani possono essere una risorsa, ma anche un pericolo – inutile nascondersi dietro l’alibi che gli italiani sono dei pigri, fannulloni, che pensano solo al loro orticello privato, perché non siamo un prototipo di fabbrica standardizzato – e basta guardare poco più in là dei nostri confini per avere il buon senso di essere oculati su quello che si dice. Insomma, occhio a non tirare troppo la corda, perché potrebbe spezzarsi di colpo (facile la battuta su quello che è successo in “padania”, me la risparmio). Uccidere le ambizioni dei giovani che non trovano lavoro suggerendo stravaganti idee di sopravvivenza, tanto pratiche quanto imbarazzanti, se consideriamo la vasta quantità di ragazzi che ha pagato e paga anni e anni di studio con il proprio denaro e il sudore della fronte, o semplicemente tenta di inseguire un sogno o un’ambizione, mi sembra fin troppo pretenzioso. Dov’è l’incentivo ai giovani a diventare migliori, a far crescere la società? Cosa siamo diventati, e cosa diventeremo se continuiamo su questa strada? Abbattiamo il falso mito che nella vita vince il più forte, o chi è potente. Nella vita vincono i giusti, perché hanno un cervello che fanno funzionare, e solo questo è già degno di infinito rispetto. Tutto il resto è feccia, non vale la pena curarsene.

Serena Savelli