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Tv: il potere della scelta

Gente, accorrete! Tutti davanti al piccolo schermo. Sta per iniziare il Festival della canzone italiana, Sanremo, che piace tanto ai grandi e ai piccini. Condurrà Morandi, affiancato da Belen e dalla Canalis. Nulla di male, dalla notte dei tempi si susseguono belle donne più o meno rappresentative al fianco del mattatore di turno. Non starò qui a commentare quanto il Festival sia scaduto negli anni, quanto abbia perso il suo valore artistico e quanto sia divenuto tutto gossip e poco spessore. Immagino, ad esempio, che i fotogrammi dell’orchestra che strappa gli spartiti sotto le stecche impetuose di Emanuele Filiberto lo scorso anno non siano passate inosservate. Un Sanremo come industria di prodotti mediatici preconfezionati, da X-Factor ad Amici, che perde la sua nobile aura culturale per cedere alle lusinghe di un business sempre più patinato e, ahimè, sempre più piatto. Il problema vero però, anche se sussiste, non risiede nello sfacelo totale in cui il “quinto potere” sta cadendo. Perché il mezzo mediatico più potente, quello che crea dipendenza e manipola il pensiero delle masse, è proprio la televisione, che va dove va l’audience. E l’audience siamo noi, che nel nostro piccolo abbiamo un unico modo per imporre il nostro, di potere: il telecomando. Vorrei essere drastica, e dirvi di spegnere direttamente la favolosa scatola dei sogni, ma non lo farò. Ci sono dei programmi che sono degni di essere visti, e non sono pochi. Augias all’ora di pranzo è una boccata d’aria pulita rispetto ai telegiornali e ai loro cagnolini che leccano la telecamera, “coerente” intramezzo tra la schiera di morti ammazzati del giorno e il b-side della starlette di turno. O alle soap opera e al gossip puro, che rendono le aspirazioni della casalinga media quelle di vivere la vita come una Brooke dai mille amanti, che costruisce la sua esistenza sulla falsità e l’intrigo. Che bello sarebbe corteggiare il tronista della De Filippi. Che bello sarebbe essere sotto i riflettori del Grande Fratello. O essere invitati dalla D’Urso a parlare di quanto sarebbe meraviglioso presenziare delle serate in discoteca. Che bello credere, insomma, che la vita sia fatta di queste stupidaggini.

Siamo un pubblico che va a fare “turismo” ad Avetrana, maniacalmente attratto dai retroscena di omicidi, suicidi e delitti vari. Siamo morbosi, e stupidi, perché siamo gli unici che realmente possono fare qualcosa. E invece, preferiamo spegnere il cervello e continuare a interrogarci sul se Corona siederà nelle prime file dell’Ariston. E allora mi chiedo: perché lamentarsi?

Serena Savelli

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