Home Cultura

C.A.R.A. Italia: la parola ai migranti nel film di Dagmawi Yimer

Per la prima volta una telecamera racconta la vita quotidiana dentro un centro di accoglienza per migranti, tra dubbi, preghiere, attese. Il documentario C.A.R.A Italia, del regista etiope Dagmawi Yimer, presentato al Premio giornalistico Ilaria Alpi in corso a Riccione, penetra nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo politico di Castel Nuovo, alle porte di Roma: concepito come seguito del lungometraggio “Come un uomo sulla terra” girato da Yimer nel 2008,  racconta attraverso la voce di Hassan l’attesa frustrante per il riconoscimento dell’asilo politico, e lo smarrimento dopo averlo ottenuto.
“Abbiamo vissuto la nel centro per otto mesi. Le persone che lavoravano alla scuola, conoscendo la nostra storia, ci hanno consigliato di raccontare anche fuori, alla gente, in tutta Italia quello che succede qui dentro. E noi abbiamo accettato – afferma Abubakar, uno dei protagonisti del film”. Una delusione: quello che Abubakar scopre dopo l’arrivo in Italia è che valori come la fiducia nel rispetto dei diritti umani, humus di ogni democrazia, può essere invece facilmente ignorato. 
Nel centro di Castel Nuovo la vita di tutti i giorni è in bilico tra  pieno e vuoto. Il pieno delle vite degli ospitati e il vuoto del centro, uno stabile che si trova alle porte di una città che la maggior parte degli ospitati, circa 700, non vedono mai. La storia del film è quella della volontà di cambiare, di credere nella trasformazione, pagando però un disagio psicologico pesante, quello di vivere in una doppia assenza: quella dal paese che si è lasciato e quella del paese in cui ci si trova, dove un esercito di apolidi rimane invisibile.
“La cosa che ho capito è che questi valori esistono solo gli interessi economici. Se l’Italia è un paese di democrazia e di trasparenza politica, come mai c’è una disumanizzazione cosi grave? Qual è la trasparenza di cui si parla? Cosa sono i diritti umani? – si sfoga Abubakar – . Mi è sembrata una follia, ho patito lo sconforto, quello che noi possiamo fare è soltanto raccontare…”.
Per le persone come Hassan e Abubakar uno dei primi ostacoli da superare è quello linguistico, ed è così che i protagonisti vengono a contatto con una scuola di italiano alla Garbatella, a Roma, dove nasce l’idea di raccontare l’esperienza della vita nel centro. Qui gli ospiti appaiono spaesati, abbandonati a se stessi, in uno spazio desolato, dove si intrecciano ricordi del passato, amarezze del presente e flebili speranze nel futuro, ma è grazie alla scuola di italiano che ricominciano a sperare, a cucinare insieme, a immaginare una vita diversa.
Mai come quest’anno, a seguito delle inchieste sullo sfruttamento del lavoro dei migranti e  i fatti di Rosarno, la questione migrazione è sotto i riflettori della stampa, meno, forse, sotto quelli della politica. Ma il percorso di chi arriva in Italia non fa notizia. Il docufilm di Yimer si propone questo scopo: mostrare il mondo visto dall’ ”altro”, e lo fa cercando di costruire un senso comune, basato sulla conoscenza, ma soprattutto sulla testimonianza diretta. 

Flavia Cappadocia

Ads