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Furio Camillo. Leggende sul famoso generale romano (parte I)

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La carriera militare del patrizio Marco Furio Camillo ( 446-365 ) fu lunga quanto brillante e i cronisti dell’epoca ne fecero il protagonista di imprese leggendarie amplificandone la gloria delle gesta.

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Partecipò a moltissime battaglie. Una delle prime fu quella del lago Regillo nella quale il dittatore Aulo Postumio Tuberto aveva sconfitto equi e volsci. Il giovane cavaliere Camillo, mentre cavalcava in prima linea, fu colpito da un colpo alla coscia. Estrasse il giavellotto dalla ferita e continuò a combattere valorosamente. Sarebbe stata la sua prima e unica ferita ricevuta in battaglia.

Molti anni dopo l’eroico militare, per espugnare la città di Veio, usò un ingegnoso stratagemma. Avendo capito che era impossibile assediare la città, decise di istituire varie squadre di scavatori di sei uomini ciascuna per costruire una galleria che avrebbe condotto all’interno della città. Un tunnel esiste tuttora tra Fosso Formello e Fosso Fiordo. Sembra che la galleria terminasse proprio sotto al tempio di Giunone dove i sacerdoti etruschi stavano celebrando un sacrificio affermando che la vittoria della guerra sarebbe stata vinta da chi avrebbe cavato le viscere alla vittima immolata. I soldati, nell’udire queste parole, sarebbero usciti allo scoperto e avrebbero portato a termine loro stessi il sacrificio, prima di aprire le porte al resto dell’esercito e combattere con i nemici. Un’altra leggenda racconta di come Camillo, dopo avere eliminato tutti i nemici ed avendo costatato che il saccheggio della città gli aveva permesso di avere un bottino incredibilmente grande, abbia invocato una piccola sventura su di sé per bilanciare gli eventi e non provocare il risentimento degli dei. Subito dopo scivolò cadendo a terra e questo lo indusse a credere che la sua preghiera fosse stata ascoltata. Al suo ritorno a Roma fu accolto in tripudio dalla folla.

Nel 395 il senato aveva decretato quattro giorni di preghiere pubbliche in memoria delle tante morti che la guerra con gli etruschi aveva provocato tra i romani. Camillo, tornato vittorioso da Veio, decise di sfilare su un cocchio trainato da quattro cavalli bianchi paragonandosi a Giove che veniva raffigurato sempre in quel modo. Il gesto non fu apprezzato dalla plebe anche se sembra che da quella volta nacque la consuetudine di paragonare il protagonista di un trionfo a Giove. Il comportamento di Camillo fu giudicato sacrilego dai romani sebbene il condottiero fosse una persona devota. Sembra infatti che avesse deciso di consacrare un tempio a Mater Matuta ovvero alla dea Aurora, divinità che l’aveva sempre difeso in ogni battaglia che egli era solito combattere all’alba. 

Scoppiò una nuova guerra tra romani e falisci. Una leggenda racconta che durante l’assedio alla capitale nemica Falerii Veters un pedagogo della città portò i suoi piccoli studenti all’accampamento romano per consegnarli a Furio Camillo in cambio della resa della città. Il condottiero, che era un guerriero di animo nobile, non poteva accettare una proposta così vile e prese a frustate il pedagogo, rimandandolo in città insieme ai bambini. I falisci, colpiti dalla nobiltà d’animo di Camillo, decisero di arrendersi spontaneamente ed è storicamente provato che nel 394 a.C., nel corso del terzo tribunato consolare di Furio Camillo, stipularono un trattato di pace con i romani.

In seguito alla vittoria riportata, Furio Camillo visse un brutto periodo in quanto i romani erano talmente mal disposti nei suoi confronti che tre anni dopo, nel 391 dovette affrontare un processo. Fu accusato di vari crimini tra cui: peculato da un questore e appropriazione indebita di parte del bottino di Veio. Gli fu affibbiata addirittura la qualifica di iettatore perché si riteneva fosse stato responsabile di eventi funesti.

Massimiliano Liverotti