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Gli elefanti a Roma, da Annone al Pulcin della Minerva

Sono moltissimi gli animali entrati a pieno titolo nell’iconografia, nelle storie e nei racconti di Roma e dei romani. Per una città fondata da due fratelli allattati da una lupa non poteva essere altrimenti. Gli agnelli e le colombe sono presenti in tantissima iconografia religiosa, nei dipinti, negli affreschi e persino nelle decorazioni di tanti palazzi. L’aquila è il simbolo imperiale per eccellenza, mentre i cani spesso vengono raffigurati sui sarcofagi, oppure assumono la simbologia delle forze del male. Di cavalli e di statue a cavallo non ne mancano, uno fra tutti il Marco Aurelio del Campidoglio. Su cinghiali, civette e draghi non mi soffermo, perché saranno sicuramente oggetto di un’altra rubrica in futuro. Leoni, oche (non solo quelle del Campidoglio), galli, fenici e serpenti, a vario titolo sono stati protagonisti di leggende, simboli araldici di importanti famiglie oppure raffigurazioni laiche o religiose. C’è però un animale del quale, difficilmente, si arriverebbe a professare la “romanità”: l’elefante.

I romani conobbero gli elefanti probabilmente nel 275 a.C., durante la prima guerra punica (nella battaglia di Benevento), quando questi furono utilizzati per la prima volta dai Cartaginesi, guidati da Pirro, re dell’Epiro. I Romani, non abituati a combattere contro questi enormi animali, furono inizialmente sopraffatti. Tuttavia impararono rapidamente a contrattaccare e a utilizzare le loro tattiche militari per sconfiggerli. Gli elefanti continuarono a essere utilizzati in battaglia durante le guerre puniche e non scomparvero dall’immaginario e dalle storie dei romani. Infatti, durante il I secolo a.C., gli elefanti furono utilizzati nei giochi gladiatori e nelle venationes, cioè le battaglie tra animali selvatici. Tra le più famose “apparizioni” di elefanti a Roma c’è sicuramente la grande sfilata di animali esotici organizzata nel 55 a.C. dal generale romano Pompeo Magno per celebrare la sua vittoria in oriente.

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Gli elefanti continuarono a essere utilizzati come animali da spettacolo a Roma fino al V secolo d.C. Tuttavia la loro presenza non si limitò ai giochi. Infatti, gli elefanti furono anche utilizzati come simboli di potere e di ricchezza dai mercanti e dai nobili romani. Questi enormi animali furono anche un fine strumento di diplomazia: ad esempio, nel 20 a.C., l’imperatore Augusto ricevette un elefante come dono dal re di Numidia, Juba II. La presenza degli elefanti nella storia di Roma è anche testimoniata dalle numerose raffigurazioni di elefanti che si trovano nei mosaici e nelle pitture delle ville romane.

La presenza degli elefanti a Roma non si limitò solo all’epoca antica. Infatti, dal Rinascimento in poi, gli elefanti continuarono a essere presenti come animali esotici e rari. Nel 1514 Papa Leone X ricevette un elefante come dono dal re del Portogallo, Manuele I. L’elefante fu chiamato Annone, in ricordo del generale dell’esercito di Annibale. Il Papa stesso accolse il dono a Ponte Sant’Angelo, per poi condurlo in processione fino in Vaticano. Tanti romani si affrettarono per vedere Annone, mentre molti artisti si ispirarono a lui per i loro lavori. E questo animale è persino raffigurato sul battente della porta della stanza della Segnatura in Vaticano, con un uomo sulla groppa. Secondo le cronache si tratterebbe di Cosimo Baraballo, l’abate di Gaeta, che però aveva velleità di grande poeta. I cortigiani di Leone X decisero di tirargli un brutto scherzo. Infatti lo convinsero che se avesse attraversato Roma in groppa ad Annone allora sarebbe stato laureato in Campidoglio come il Petrarca. Cosimo non se lo fece ripetere, attese l’occasione giusta, saltò in groppa all’elefante e cercò di condurlo verso il Campidoglio. Gli schiamazzi e le grida dei romani infastidirono Annone a tal punto che si scrollò di dosso l’abate su Ponte Sant’Angelo e se ne tornò alla sua stalla. Purtroppo l’elefante di Leone X ebbe vita breve e passò a miglior vita appena due anni dopo il suo arrivo a Roma. Si narra (ma a questo punto siamo alla leggenda, o alle dicerie) che il Papa ne fosse talmente affezionato da destinare ad Annone persino una sepoltura in Vaticano.

Non si può infine dimenticare quello che tutt’ora è forse l’elefante più conosciuto dai romani: l’elefantino di piazza della Minerva. Ritrovato nel giardino del vicino convento maggiore dei domenicani nel 1665, i romani iniziarono presto a chiamarlo “il pulcin della Minerva”, una storpiatura del termine “porcin”. Evidentemente ai romani quel piccolo e tozzo elefantino che porta sulle spalle un pesante obelisco doveva essere sembrato tutt’altro.

Leonardo Mancini