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I mosaici di Pietro Cavallini in Santa Maria in Trastevere

MERAVIGLIE DI ROMA - Pietro_Cavallini_011

Già nel IV secolo in Trastevere, dopo la conversione di Costantino al cristianesimo, erano sorte le tre basiliche di S.Cecilia, S.Crisogono e S.Maria che, secondo alcuni studiosi, può vantare di essere il primo luogo di culto cristiano a Roma di cui si abbia notizia storica.

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La formazione del primo nucleo della futura basilica di S. Maria, risalente al III secolo, potrebbe essere dovuta ad una leggenda tenuta in gran conto presso gli ebrei risiedenti nella zona di Trastevere, e quindi trasmessa ai cristiani: laddove venne eretta la chiesa si trovava una taberna meritoria, una sorta di foresteria in cui si riunivano i soldati a riposo dopo gli anni di servizio militare; qui, come tramandano Dione Cassio e San Girolamo, nell’anno 38 a. C., dal pavimento scaturì improvvisa una sorgente d’olio che sgorgò senza interruzione per un giorno intero.

L’imperatore avrebbe dunque consegnato ai cristiani l’edificio, al posto del quale essi avrebbero edificato una domus ecclesiae, dove sarebbe poi sorta la basilica. La scritta “FONS OLEI”, posta a destra della base del presbiterio, indica ancora oggi il punto dal quale scaturì la fonte miracolosa. La basilica, fondata da Giulio I nel IV secolo presso il titulus Callisti (più o meno l’equivalente di un’odierna parrocchia) fu ricostruita da Innocenzo II nel XII secolo. È a questa fase che sono riconducibili i mosaici del catino absidale con la grande scena del Cristo che siede sul trono insieme alla Vergine, affiancati a destra e a sinistra da figure di santi e dal papa Innocenzo II con il modellino della chiesa, a cui si collegano idealmente le immagini relative al Vecchio e Nuovo Testamento dell’abside. Uno stretto legame concettuale con il mosaico delle pareti e del catino presentano i sottostanti sette riquadri rappresentanti sei episodi della vita di Maria ed uno scomparto votivo: sono opera dell’artista romano Pietro Cavallini, principale artefice del rinnovamento della tradizione pittorica a Roma tra il XIII ed il XIV secolo. La decorazione musiva è di sicura mano dell’artista che, nel riquadro con il voto devozionale del cardinale Stefaneschi, raffigurante la Madonna tra i SS. Paolo e Pietro ai cui piedi è il committente, lasciò una iscrizione, visibile ancora nel XIX secolo, con il suo nome e la data, letta dal Barbet de Jouy (MCCLCI) e corretta dal De Rossi (MCCXCI). Ma la datazione al 1291 non trova la critica completamente concorde; recentemente infatti è stata espressa l’opinione che i mosaici del Cavallini debbano essere spostati più avanti, dopo l’esecuzione degli affreschi di S.Cecilia, vale a dire tra il 1293 e il 1300. Ognuno dei sei episodi è commentato da un’iscrizione composta dallo stesso committente. La tecnica del mosaico tende ad adeguarsi a quella dell’affresco: usando filari di tessere minute, Cavallini mira a ottenere la stessa fluidità della pennellata, modulando i colori in una serie di tenui trapassi che vedono contrapporsi alle note chiare nei rilievi plastici quelle scure nelle profondità delle pieghe. I fondali aurei sussistono nei mosaici, ma avvolgono un mondo di uomini e cose concreti, dagli arredi e oggetti di casa nella Natività di Maria, alla scena bucolica nella Nascita di Gesù con il pastore che suona il flauto ed il cane seduto che si rivolge alle pecore, alla concreta notazione della chiesetta con la scritta “taberna meritoria”, in ricordo delle origini della chiesa di S. Maria in Trastevere.

Alessia Casciardi