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I ponti di Roma, realtà eterne

I lavori stradali restituiscono molto spesso tesori inimmaginabili come gruppi di tombe o strutture appartenenti a epoche antiche. È questo il caso della scoperta avvenuta durante i lavori della Soprintendenza Speciale del Comune di Roma per l’allargamento della via Tiburtina, lo scorso agosto.  Durante i lavori è stata rinvenuta una struttura che secondo le prime analisi apparterrebbe all’epoca Imperiale Romana. Il ponte, situato al VII miglio della via antica, era stato realizzato per poter permettere l’accesso all’altra sponda del fosso di Prato Lungo, poco distante dall’Aniene, di cui è affluente.

Le indagini hanno portato alla luce l’arcata centrale realizzata da un arco a tutto sesto in opera a secco in blocchi di travertino. Un aspetto interessante per comprendere la vita di questo ponte sta nel fatto che gli archeologi non hanno rinvenuto nessuna chiave di volta, elemento fondamentale per la statica fisica dell’arco e quindi del ponte stesso. Questo è stato interpretato dai ricercatori come un segno di demolizione e chiusura dell’area, testimoniata anche dalla presenza di muraglioni rivestiti di intonaco, dell’altezza di 3 metri, che ricoprivano i resti del ponte stesso per permettere comunque l’accesso all’altra sponda del fosso. Il rinvenimento della chiave di volta avrebbe giustificato un eventuale crollo naturale. I lavori di rifacimento dell’area devono essere stati effettuati durante l’epoca medievale e rinascimentale. Un altro importante indizio, a spiegazione alla demolizione del ponte, riguarda il rinvenimento di notevoli strati alluvionali che attestano la posizione in un punto critico, dove, in caso di alluvione, il ponte avrebbe potuto presentare difficoltà nel sostenere la pressione del flusso del fiume in piena.

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Queste scoperte danno la possibilità di arricchire il grado di comprensione della topografia romana antica. Infatti le vie di comunicazione rappresentano un elemento importante nello studio della storia di Roma. Con l’inizio della conquista della penisola italiana nel IV secolo a.C. vengono realizzate nuove strade per annettere quei territori che via via venivano conquistati, funzionali soprattutto per lo spostamento di eserciti e merci. Ma le vie di comunicazione non potevano essere costituite solo da reti stradali, alcuni punti erano naturalmente invalicabili. È così che i Romani, prendendo spunto dall’ingegneria lignea già utilizzata dagli Etruschi, iniziano a realizzare ponti, dapprima in legno, successivamente in materiale non deperibile. Di questo non c’è da stupirsi in quanto Roma stessa nasce sulle sponde del fiume Tevere e una delle prime necessità deve essere stata sicuramente trovare delle strategie per arrivare sull’altra sponda. Le fonti letterarie ci informano che uno primi ponti realizzati in legno è il Pons Sublicius, di epoca Monarchica, mentre per costruzioni in materiale non deperibile abbiamo il Pons Aemilius, il primo ponte in pietra iniziato nel 179 a.C. e ultimato nel 142 a.C. Ma come fanno delle strutture, costruite solamente con l’uso di poche materie prime naturali, a durare così tanto nel corso di secoli e secoli, e perché le nostre conoscenze tecnologiche di costruzione spesso si concludono con crolli di ponti e strade costantemente danneggiate? Il segreto della ‘’eterna giovinezza” delle strutture ingegneristiche romane è principalmente il tipo di materiale che questi utilizzavano, come la pietra al posto del calcestruzzo. Non vi erano strutture interne in metallo, un materiale soggetto all’usura. Questo non era un problema che i Romani dovettero affrontare, poiché le strutture come i ponti erano basate su sistemi sporgenti, sfruttando l’Arco, e non un sistema non sporgente come l’architrave utilizzato spesso da noi moderni. In questo modo le strutture romane lavoravano lo scarico del peso della struttura sulla compressione e non sulla trazione come oggi. L’arte di costruire i ponti presso i Romani non era per nulla sottovalutata, al contrario, questa veniva considerata un’attività sacra. Analizzando la parola latina Pontex possiamo trovare la traduzione in “costruttore di ponti”. Nell’antica Roma, con la parola pontifex maximus si intendeva la più alta carica del collegio sacerdotale che aveva il compito di conservare le tradizioni giuridico-religiose della città. Il termine Pontefice verrà ripreso successivamente della Chiesa cattolica, andando ad indicare la nomina con cui venivano designati i primi vescovi, ovvero coloro che dovevano fare da ponte tra Dio e il popolo.

Ilaria Ambroselli