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La ruganza delle marionette

Se dovessimo pensare al Carnevale italiano sicuramente ci verrebbe in mente il vestito losangato e multicolore di Arlecchino, una maschera del Nord Italia, il cui nome è diventato anche sinonimo di multicolore. Dal XVI secolo le maschere italiane furono associate al nuovo teatro italiano in cui predominavano spettacoli della famosa “Commedia dell’arte”, un tipo di teatro professionale in voga fino all’affermarsi del teatro goldoniano.

Eppure, da bravi romani, dovremmo pensare, prima che ad Arlecchino, al locale e trasteverino Rugantino!

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Rugantino è una maschera, un personaggio, del quartiere di Trastevere, il quartiere centrale più popolare di Roma tra il periodo moderno (quello che segue il medioevo e che anticipa la scoperta delle Americhe) e contemporaneo (cioè quello più vicino a noi, che inizia a fine XVIII secolo)

Rugantino è affiancato da altre figure che ironizzano e stereotipizzano la società della Roma moderna, eppure lui è la maschera “regina” della capitale grazie al famoso burattinaio Gaetano Santangelo, conosciuto meglio come Ghetanaccio, vissuto a cavallo del 1700 e 1800, che animava feste e banchetti per le vie di Roma, facendo il burattinaio ambulante con incollo il suo materiale lavorativo: il castello o per meglio descriverlo un teatrino trasportabile.

Ghetanaccio, che viveva in una città ricca di cambiamenti sociali e politici, canzonava i personaggi nobili, potenti e religiosamente influenti del suo tempo e della sua Roma. Ghetanaccio faceva parte di quelle persone che, raramente, nascono durante alcuni momenti storici particolari e hanno la ruganza (l’arroganza), la voglia, la genialità, il carattere e quel pizzico di ironico cinismo con cui, attraverso l’arte comica e teatrale, criticavano la società marcia e corrotta, svegliavano gli animi, si facevano portatori di quel coraggio che, se usato e veicolato, poteva essere utile a ribaltare le condizioni di vita di una grossa fetta della popolazione.

Prima dell’animazione dei burattinai (la cui arte teatrale si chiama teatro di figura), marionette e burattini erano usati non solo come semplici giochi per bambini. Nell’antica Grecia, quindi di rimando nella Roma repubblicana e imperiale, i burattinai creavano delle figure lignee, di terracotta, di osso o di stoffa e le animavano dall’alto (marionetta) oppure dal basso infilando la mano nella figura creata “a guanto” (burattino). Questo teatro di figura era usato soprattutto in situazioni religiose. Gli dei prendevano corpo in queste creazioni antropomorfe in miniatura fatte dall’uomo e si muovevano, dietro un teatro, per raccontare i miti e le leggende legate ad una divinità, in occasioni di alcuni riti sacri o cerimonie religiose. Dal prevalente uso religioso nella Grecia antica, una volta giunto anche in territorio italico, il teatro di figura assume connotati più ludici e goliardici. É sempre uno strumento utile per rappresentazioni religiose o di piazza, ma con l’invettiva sociale e politica tipica di molti individui romani che erano un po’ artisti e un po’ filosofi; il teatro dei burattini inizia anche ad assumere quei connotati tipici che saranno confermati con il teatro di figura dal XVI secolo in poi.

Purtroppo, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente a ridosso del VI secolo, il medioevo fu un’epoca in cui lo Stato Pontificio cercò di soffocare il teatro di burattini. Se una divinità si impossessava di un corpo fittile, si veniva quindi a creare un idolo e quindi pericolo di idolatria, ovvero la pratica di pregare verso una rappresentazione antropomorfa della divisa e delle forze dalla natura, pratica tipica delle religioni politeiste e animiste, che andava contrastata. Eppure la verve, il fascino e la ruganza delle marionette era impossibile da contrastare, tanto che poi la Chiesa decise di tollerare il teatro di figura con scopi educativi rispetto ai valori cristiani. Divenne una pratica popolare, vissuta e apprezzata dalla popolazione analfabeta delle campagne e della città nei periodi di festa. Da sempre l’arte non si può mettere a tacere, ma la si deve accettare e al massimo prendere in prestito per comunicare.

Veronica Loscrì