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Le colonne dimenticate della Basilica di San Paolo

Per ragioni anagrafiche ricordo poco della zona della Basilica di San Paolo prima della riqualificazione del Parco Schuster. Ho qualche ricordo di un grande pino e degli autobus in fermata. Nel corso degli anni invece ho frequentato tantissimo il parco, un vero e proprio polmone verde per noi di San Paolo. Ma nonostante abbia passato tantissime ore in questo luogo non mi sono mai accorto di un particolare.

Mesi fa all’interno di un gruppo Facebook di quartiere mi sono imbattuto in una conversazione sulla storia del colonnato. Tra le informazioni, molte delle quali mi erano note, un ex residente del quartiere ha ricordato la presenza di una ulteriore colonna (ancora da sgrossare) che sarebbe rimasta abbandonata a ridosso del giardino. Un pezzo in più (o forse un ricambio da tenere a disposizione) che nel tempo è stato dimenticato. Facendo mente locale non ho ricordato nulla di simile nel parco, tanto da pensare che, nel tempo, la colonna fosse stata rimossa, magari per fare posto al centro anziani o ai bagni pubblici. Tempo dopo però mi sono ritrovato nel parco e, dietro una cancellata di ferro, ho scoperto che nessuno si è mai preso la briga di rimuoverla. Poco oltre il centro anziani, in direzione del monumento ai caduti di Nassiriya, con un po’ d’attenzione si può trovare proprio la colonna abbandonata al suolo e senza alcuna indicazione che ne ricordi la storia.

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Incuriosito mi sono messo a cercare e ho scoperto che le colonne abbandonate in realtà sono tre, ad alcune centinaia di chilometri l’una dall’altra. Per raccontarne la storia però bisogna partire dalla notte del 15 luglio 1823 quando, probabilmente a causa dell’incuria di alcuni stagnini impegnati nella riparazione delle grondaie, in una notte la Basilica venne distrutta dalle fiamme. A salvarsi fu solo il ciborio, parte dell’abside e il chiostro. Così nell’Anno Santo 1825 (il prossimo Giubileo saranno 200 anni) Papa Leone XII indicò il programma per la ricostruzione, istituendo anche la Congregazione speciale per la fabbrica della Basilica di San Paolo. La consacrazione della nuova Basilica avvenne nel 1854 con Pio IX, mentre i lavori proseguirono anche nei decenni successivi, con il Regno d’Italia e la Direzione delle Belle Arti infatti si completò il quadriportico, prima che i Patti Lateranensi riconsegnassero la Basilica al Vaticano.

Per realizzare il colonnato però c’era bisogno di tanto materiale, e la commissione incaricata alla fine scelse il granito proveniente dalle cave del Montorfano del Lago Maggiore, non proprio dietro l’angolo. Ed è proprio qui, a Montorfano di Mergozzo, ai piedi delle cave, che si trova la seconda colonna della nostra storia, lasciata eretta e grezza, perché imperfetta, ma tutt’ora visibile. A questa cava vennero richieste 82 colonne, alle quali nel tempo si aggiungeranno le 64 del quadriportico e 10 di granito rosa proveniente da una cava vicina.

Le colonne una volta estratte venivano lasciate con dei rialzi laterali così da non farle rotolare. Poi venivano caricate su delle chiatte sul fiume Toce, per attraversare il Lago Maggiore. Qui infatti, al porto vecchio di Verbania Intra, troviamo la terza colonna mai giunta a Roma, anch’essa imperfetta ma presto divenuta simbolo di quella comunità, che la conosce come “la culona dul port”. Le colonne navigavano poi sul Ticino per arrivare a Milano con il Naviglio Grande, dove venivano ulteriormente lavorate. Altre chiatte le portavano poi verso il Ticino e il fiume Po, costeggiavano poi la riva fino a Venezia, dove due navi della marina pontificia le prendevano in consegna. Il viaggio di ogni singola colonna proseguiva quindi via mare, circumnavigando l’Italia, passando per lo stretto di Messina, fino alla foce del Tevere, che veniva risalito fino ad un canale artificiale realizzato proprio in prossimità della Basilica. Un viaggetto di oltre 2.200 chilometri che, stando a quanto trovato sull’argomento, durava all’incirca 4 mesi.

Peccato che questa storia non venga ricordata. Basterebbe poco per dare un senso a quella colonna abbondonata nel Parco Schuster. Anche una semplice targa o un pannello informativo ne potrebbe raccontare la storia così che non venga dimenticata.

Leonardo Mancini