
Ci sono diverse streghe e stregoni nel passato e nella storia di Roma. Figure come queste hanno alimentato leggende per secoli, fino ad influenzare persino la topografia della città.
Tra chi ha documentato la presenza delle streghe sul territorio di Roma c’è Pietro Aretino, che nei suoi libri racconta di aver più volte visto e incontrato cortigiane romane aggirarsi la notte per vicoli e cimiteri portando sotto braccio pesanti cestini contenenti teschi e tibie. Avvenimenti che molti secoli prima descriveva anche Orazio nelle sue Satire. Qui vengono raccontate le gesta di due streghe, Canidia e Sagana, che dopo aver rapito un ragazzo lo seppelliscono in un cimitero lasciando fuori dalla terra soltanto il capo. Attorno al suo viso sistemano cibi e bevande, così che il giovane venisse distrutto dal desiderio. Successivamente con diverse parti del suo corpo le due fattucchiere preparano un filtro d’amore, che avrebbe fatto bramare di desiderio chi lo avesse bevuto così come il giovane aveva bramato il cibo per sfamarsi.
Ci sono poi diversi luoghi a Roma dove si raccontava si riunissero le streghe e gli stregoni. Oltre all’Esquilino si parlava anche di raduni notturni presso un albero in piazza del Popolo. Un luogo importante perché la credenza popolare voleva che fosse il sepolcro di Nerone e che l’imperatore stesso fosse stato a capo di una setta. Questa divenne una credenza così diffusa da portare Papa Pasquale II nell’XI secolo a far tagliare l’albero e ad edificare una cappella dedicata alla Vergine Maria. Una struttura che poi venne ampliata nei secoli fino a diventare l’attuale Santa Maria del Popolo. In questa chiesa inoltre c’è un’altra prova di una credenza collegata ai culti e alle streghe, cioè che i gatti fossero legati al demonio. All’interno di Santa Maria del Popolo infatti è sepolto il sacerdote Francisco Tovar di Valladolid che si dice sia morto a seguito di un morso di un gatto. Sulla sua tomba l’epitaffio in latino avverte chi legge che sia bene guardarsi dai gatti perché sono creature capaci di uccidere con un solo morso.
I processi alle streghe e agli stregoni non sono mancati. Difficile pensare il contrario nella capitale mondiale della cristianità. Nonostante questo non sono stati tanti quanti si potrebbe immaginare. Ciò perché, in alcuni casi, streghe e stregoni considerati particolarmente potenti e importanti, vennero persino protetti dall’aristocrazia romana e dalla curia. In ogni caso vi furono diversi processi, alcuni anche celebri.
Tra questi c’è quello del tedesco Stefano Mayer, processato nel 1630 e condannato a sette anni di prigione (che non sconterà per intero) per dei riti magici celebrati da lui a Porta Portese, Porta Angelica e a La Storta. Mayer, assieme ad un gruppo di sodali, tra i quali figurava anche un certo don Pietro, si era messo in testa di poter trovare l’ubicazione di un tesoro nascosto attraverso alcuni riti magici e negromantici. Queste formule sarebbero state tratte addirittura da un testo chiamato “La Clavicola” attribuito a Re Salomone. Dopo alcune messe recitate in una cappella a Monte Mario, i sodali si riunirono in una vigna a Porta Portese dove Mayer, vestito con paramenti sacri, conficcò alcuni chiodi in un teschio umano, sperando che questo prendesse a parlare e riferisse l’ubicazione del tesoro. Il fatto che sia stato processato e che tutta la sua famiglia sia finita in condizioni miserabili fa capire che il rito non sia andato per il verso giusto.
Nel 1651 avviene un altro processo ad un negromante. L’uomo, Gaspare Passacchia, pare sapesse servirsi così bene degli spiriti da essere capace di esaudire qualsiasi richiesta dei suoi clienti. Ma i dieci anni di reclusione e la pubblica fustigazione cui fu condannato gli vennero comminati per aver evocato alcuni demoni per scoprire (anche lui) l’ubicazione di un tesoro. Anche in questo caso però il risultato fu piuttosto deludente.
Infine ci sono anche dei casi in cui il popolo romano non è stato così contento della sentenza. Nel 1708 l’abate Filippo Rivarola venne condannato a morte per decapitazione per aver compiuto stregonerie ed aver frequentato degli eretici. In verità l’abate era un personaggio molto inviso al Papa per alcune pasquinate in cui veniva deriso. Il giorno della decapitazione presso la piazza di Ponte Sant’Angelo però accadde qualche cosa di inaspettato. La lama non riuscì a staccare il capo di Rivarola, e il boia dovette completare il lavoro con un coltello. Il popolo romano, che ben conosceva e apprezzava l’abate, insorse per quanto accaduto e linciò il boia prima che questo riuscisse a scappare.
Leonardo Mancini