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Villa Sciarra. Curiosità storiche e leggende (parte I)

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Villa Sciarra sorge sul Gianicolo ed è una delle ville urbane più interessanti di Roma sia dal punto di vista botanico che paesaggistico. Il suo nome ricorda uno dei rami della famiglia Barberini che fu tra i suoi proprietari: i principi Sciarra di Carbognano.

Gli americani Wurts, che ne furono gli ultimi proprietari, ornarono la villa con piante rare e di pregio, vi trasferirono la loro ricca collezione d’arte e vi impiantarono un allevamento di pavoni. All’epoca, infatti, il luogo fu anche chiamato “la villa dei pavoni bianchi”. Nel 1931 i Wurts la lasciarono al governo italiano insieme a un lascito di 50.000 dollari per la manutenzione.
Nel 1906 i Wurts, assenti dall’Europa, vi fecero erigere il Castelletto in stile neogotico. I lavori furono eseguiti rapidamente, e solo al loro ritorno i proprietari si accorsero che nelle fondamenta erano stati trovati tratti di condutture idrauliche, frammenti di marmo di Carrara e iscrizioni. Si riconobbe così il sito del tempio antichissimo della ninfa Furrina, divinità romana preposta alle sorgenti del Gianicolo, festeggiata in epoca remota il 25 luglio nelle “Furrinalia” e finita nell’oblio quasi completo sotto l’impero.

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Il “lucus Furrinae” era decaduto anche per la tragica morte di Caio Gracco che vi si era fatto uccidere nel 121 a.C. secondo quanto raccontano i suoi biografi. Avendo disobbedito alla citazione del console Opimio di comparire davanti al Senato, il minore dei Gracchi, odiato dai patrizi per la tenacia con cui proseguiva la politica iniziata dal fratello ucciso per la sua riforma agraria che permetteva la vendita di grano a prezzo ridotto, si era asserragliato, con i suoi accoliti armati, nel tempio di Diana all’Aventino difendendosi disperatamente. Successivamente mentre era in fuga, giunse nel bosco sacro di Furrina e qui, stremato e incalzato dai nemici, si fece sgozzare dal proprio schiavo Filocrate.

Massimiliano Liverotti