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Alleanze nell’ombra e democrazia in pericolo, il secondo giorno di Trame ha percorso i nostri ultimi 20 anni di storia

Stragi, omicidi mirati, il filo doppio tra una parte dello Stato e la mafia, la nostra storia recente esaminata e raccontata attraverso i libri del Gip di Palermo, Piergiorgio Morosini,e il giornalista inglese John Follain

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“Trattativa” è un termine plurivalente, ambiguo, pieno di stratificazioni nel suo significato, per gli italiani un mantra che si carica di valenze emotive, un leit motiv che ha accompagnato la nostra storia recente come uno spettro, un enigma. In una trattativa ci sono due parti impegnate a mediare, ognuna pronta a cedere qualcosa per ottenere un beneficio, più o meno visibile o più o meno immediato. In una trattativa gli interlocutori sono sullo stesso piano, hanno la stessa fisionomia e un potere paritario. E se nella trattativa le parti in causa sono lo Stato, dai Ministri agli esponenti politici fino ai membri della Polizia o dei Carabinieri l’analisi di questo termine dai contorni così labili assume un valore decisivo. Perché ormai è impossibile immaginare una mafia che operi senza una sponda nelle istituzioni, in certi rappresentanti delle istituzioni, una mafia che tesse quelle “alleanze nell’ombra” con politica, finanza ed economica, richiamate dal Gip Morosini all’incontro di presentazione del suo libro “Assalto alla giustizia”. Perché quella della collaborazione tra lo Stato e le mafie è una costante della nostra storia, un tratto tipico della nostra identità di nazione, fin da quando ci siamo dichiarati stato unito e unitario. Dalle richieste di supporto ai mafiosi per la tutela dell’ordine pubblico del questore Albanese, siamo nel 1870, fino all’arresto del Giudice calabrese Vincenzo Giuseppe Giglio per corruzione, favoreggiamento, rivelazione del segreto d’ufficio, la storia cambia di poco. Anche se, come evidenziato da Morosini, una svolta c’è stata, a partire dal 1992, quando la Giustizia ha iniziato a indagare sui pezzi deviati dello Stato che sapevano di mafia. Un momento decisivo, che ha dato nuova linfa anche al giornalismo, una spinta a schierarsi, ad agire in sinergia con i giudici che indagavano, con i tanti movimenti popolari che in quella stagione chiedevano trasparenza, applicazione della giustizia ma soprattutto verità. Il Gip non ha risparmiato critiche nemmeno a qualcuno dei Giudici che attualmente indagano sulla trattativa e sulle altre vicende di mafia, colpevoli, a suo dire, di un eccessivo protagonismo, nel ricorso eccessivo alle colonne dei giornali per esprime opinioni e indirizzi. Giornali che, secondo il Giudice, hanno la responsabilità morale della verità, condizione essenziale per evitare quello “sgretolamento della democrazia” che tra il ’92 e il ’93 ha travolto l’Italia. Anche sull’azione del Parlamento non sono state lesinata le critiche, soprattutto per la discussione sul recente Disegno di Legge sulla corruzione, in cui non sono state recepite le indicazioni europee sul ricorso ad agenti provocatori sotto copertura per individuare corruttori e corrompibili o l’adozione delle tutele riservate ai pentiti di mafia anche per questo genere di reati. La prospettiva insomma non è delle migliori, lo hanno confermato le parole di John Follain, giornalista inglese per anni corrispondente della Reuters in Italia negli anni degli omicidi Flacone e Borsellino e delle stragi, che in questi giorni arriva nelle librerie col suo “I 57 giorni che hanno sconvolto l’Italia”. È il tempo che ha separato l’uccisione di Flacone da quella di Borsellino, due nomi che erano nel registro di Cosa Nostra già da tempo, due eroi che rifiutavano questo appellativo ma che lavorarono consapevoli di dover morire, due simboli dello Stato vero, pulito, trascurati però da quello stesso Stato, che non ha saputo mai offrire misure di protezione adeguate. Follain è stato netto: “La mafia di oggi è silenziosa, diffusa su tutto il pianeta, i movimenti sono di meno e anche il dibattito si è contratto. Una mafia che non verrà sconfitta in questa generazione e nemmeno in quella successiva”. Parole forti, vere e proprie stilettate, ma con una matrice di realismo che non si può ignorare. Lo steso realismo delle parole del Magistrato Giuseppe Vitale, ormai in pensione, che senza mezzi termini ha detto: “La trattativa c’è stata, lo Stato si è calato le brache. Lo dimostrano gli omicidi ravvicinati dei giudici, quello a Salvo Lima e di Ignazio Salvo, i papelli di Riina con le richieste di allentamento del 41 bis, il carcere duro, e la conseguente decisione da parte dell’allora Ministro Conso di alleggerire le misure di sicurezza per 140 detenuti mafiosi, secondo quella che lui stesso definì un’esigenza di ‘pacificazione'”. Parola chiave, sbocco pericoloso di una trattativa tanto pericolosa come quella di cui si è parlato, parola da ripulire, depurare da queste sedimentazioni devianti. Perché l’unica pacificazione possibile è quella ottenuta con sentenze giuste, che ricostruiscano fatti e offrano verità conclusive a un intero paese. Una pacificazione che Trame fa sentire come un obiettivo più vicino, raggiungibile, come un’esigenza comune e sentita.

 

Stefano Cangiano