Questa è la storia di un circolo, luci e ombre, in una fumeria d’oppio parigina teatro di una spaventosa avventura dei sensi: Il puro e l’impuro ovvero “quei piaceri che chiamiamo, alla leggera, fisici”, recita l’epigrafe sulla copertina della prima edizione. Eros, croce e delizia, sempre lui a comandare su vite e figure. Nessun galateo possibile! Nella traduzione di Adriana Motti, possiamo leggere ancora questo libro del 1932 che alla sua uscita fu un vero scandalo. Piccolo grande dizionario di confidenze insopportabili, tradimenti e seduzioni, ricchezza e dissipazione, commedia e bestialità. Colette non è un’autrice come le altre: è una città, museo-bellezza-periferia. Tremerà persino il più spudorato, perché si sentirà dentro e fuori con stupore e confusione, osservando azioni e resistenze di una generosa simulatrice erotica, un don Giovanni commovente e sinistro, affari loschi e personaggi leggendari. Si deve vivere molto per poter scrivere, ricercare la propria identità. Perché ogni volta che due esseri umani si avvicinano mettono in gioco fatalmente la sensibilità di tutti noi: desiderio e rivelazione dell’ignoto. Contro dove non c’è motivo di andare, per quello che non si saprà mai. Soltanto allora la bellezza sarà convulsa o non sarà, giacchè uno spazio bianco non apparirà mai sufficiente per salvarci.
Colette
Il puro e l’impuro
Adelphi 1996
Pagine
Euro
Ilaria Campodonico