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L’aquila e il pollo fritto

Vittorio Zucconi racconta di un grande amore e di una sublime dipendenza per la Manhattan degli anni ’70. Da quel momento in poi Zucconi sapeva che non avrebbe più potuto vivere senza di lei, e che non sarebbe riuscito a vivere neppure con lei

Era il 1973 quando Vittorio Zucconi, corrispondente per La Repubblica dagli Stati Uniti, arrivava per la prima volta a Manhattan. Approdava nella terra della “più grande democrazia del mondo”, dove le parole e i loro significati si confondono e può capitare che cimitero significhi vittoria, strage progresso, occupazione liberazione. Zucconi sapeva che non avrebbe più potuto vivere senza di lei, e che non sarebbe riuscito a vivere neppure con lei. È questa la storia di un grande amore, di una sublime dipendenza. Per “un’insalatiera umana” – 10 milioni di chilometri quadrati, con 170 lingue diverse parlate soltanto a New York – dove i cieli e gli spazi sono così grandi da restituire ad ogni sguardo un sentimento di eccitazione, esaltazione mischiata a libertà, come in nessun altra parte del mondo. Oggi che non è più la numero uno, che non è più quella dei grattacieli più alti, che Hollywood ha lasciato il posto a Bollywood, che il dollaro ha perso il primato mondiale, è ancora la terra dei supermarket aperti tutta la notte, del quotidiano la mattina davanti alla porta, ma soprattutto dell’informazione, delle idee e delle intuizioni che fanno girare l’Oriente e l’Occidente.”So che ogni mattina al risveglio ci sarà qualcosa di nuovo che mi strapperà al terrore della noia”: l’ostinata irrequietezza dell’America – imperfetta e ingenua – è come allora la sua “medicina”.

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Vittorio Zucconi
Oscar Mondadori
Best Sellers 2011
pp.309
9,50 euro

Ilaria Campodonico