L’eterno marito è psicologia, immaginaria. Non è allusione, è già presentazione. Non informa un castello di destini incrociati, ma interessa la presenza, il vedere: penetrare i sentimenti dei personaggi, entrare a far parte del loro mondo, attraverso un espediente magico, che supera tecnica, genio, ispirazione, il cui artefice è Fëdor Dostoevskij. Questa è la storia di Pavel Pàvlovièc Trusockij, un notabile di provincia che – dopo la morte di sua moglie – decide di partire per Pietroburgo e mettersi sulle tracce dei suoi amanti per accostarli, capire cosa hanno in più o in meno, dove le strade si sono interrotte e sovrapposte. Se alcuni grandi romanzieri sembrano destinati progressivamente a cadere nell’imprevedibile risacca del tempo che spietato tutto livella, Dostoevskij sa come resistere indefesso e senza cedimenti, tanto da poter essere considerato a pieno titolo un vero e proprio superstite di quello che un tempo fu il romanzo del Novecento. Non è la drammaticità dell’azione a salvarlo, come comunemente si potrebbe pensare, il carattere estremo e complesso dei personaggi mischiato alla distanza culturale nello spirito e nel paesaggio, ma la grazia e la sostanza reale della materia. Giacchè – si guardi il lettore dal non dimenticarlo – l’arte è un evento che accade nel nostro animo, azione e contemplazione.
L’eterno marito
Fëdor Dostoevskij
Traduzione di Corrado Alvaro
SE 2012
Pagine 159
Euro 20
Ilaria Campodonico