Scrivere lettere è sempre pericoloso. Nel 1926, Rainer Maria Rilke non sapeva certamente che la sua morte sarebbe sopraggiunta di lì a poco. Ma questo libro meraviglioso, trovato un po’ per caso in una libreria di Roma, comincia così, con una lettera a Marina Cvetaeva su invito di Boris Pasternak. I due non si conoscono, ma la risposta di Cvetaeva dall’esilio non si fa aspettare troppo a lungo: la sua è una lettera d’amore, di quelle che non dormi più. È andata nel modo che vi dirò, non si incontreranno mai ma non per questo la loro storia sarà meno reale. La mancanza riempie la vita, la lontananza diventa poesia, perché non è scritto da nessuna parte che il primo amore sarà l’ultimo. C’è qualcosa di speciale nelle relazioni che arrivano dopo, quando siamo già stati spezzati, consumati, senza incanto, confusi, incompresi. In quello che accade quando meno te l’aspetti, quando sei più che grande e la vita ha percorso già mille curve, un giorno capita di incontrare qualcuno e guadagnare nuova ampiezza. La vita diventa un sogno, il patto con noi stessi regge. Torniamo a scivolare sulle cose di tutti i giorni, restiamo trafitti al cuore da mille aghi, il mondo smette di essere una superficie piana e torna a imporsi sinuosamente, brillante, manifesto. Del terribile il bello non è che il principio.
Lettere
Marina Cvetaeva, Rainer Maria Rilke
A cura di Amelia Valtolina, Pina De Luca
SE 2010
Pagine 103
Euro 13
Ilaria Campodonico