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Omaggio a Elvira Sellerio

Editore, intellettuale, signora elegante e raffinata come solo un’aristocratica siciliana venuta dal passato, restituita attraverso il ricordo speciale di Andrea Camilleri.


“Le mattine mi sveglio e penso ‘Ma perché Elvira non mi telefona’ oppure ‘devo telefonare a Elvira’”, racconta Andrea Camilleri. Morta a Palermo, all’età di 74 anni, lo scorso agosto, Elvira Sellerio nel 1969 è stata la fondatrice dell’omonima casa editrice, insieme a Enzo Sellerio, celebre fotografo: una idea nata parlando assieme allo scrittore Leonardo Sciascia e all’antropologo Antonino Buttitta, protagonisti della vita culturale palermitana di allora. Una città speciale, da mille anni una delle capitali dell’Occidente, crocevia di genti e culture. La prima collana La civiltà perfezionata proponeva testi di letteratura siciliana e di letteratura europea meno nota e più raffinata. I due primi titoli furono Mimi siciliani del nobile letterato Lanza e Lettere sulla Sicilia di Eugène Viollet Le Duc, scrittore francese e architetto. Ogni volume era accompagnato da incisioni di grandi illustratori come Mino Maccari, Tono Zancanaro, Bruno Caruso e da una introduzione, Note, di scrittori importanti quali Sciascia e Calvino.

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“Non sarà un ricordo elaborato, corretto, perché c’è una somma di emozioni che mi hanno impedito di scrivere nel modo che avrei voluto. Chiedo scusa se per parlare di Elvira devo per forza parlare di me. E’ stata una parte importante della mia vita e come faccio a dire di una parte importante se non dicendo di me”, spiega Andrea Camilleri.
“Come la conobbi. Non fui presentato a lei da Sciascia, come è stato scritto” – ricorda lo scrittore – “Avevo trovato dei documenti che erano la prova di un’orribile strage avvenuta nella torre Carlo V del mio paese, allora carcere borbonico. In una notte del 1848, erano stati ammazzati 114 carcerati. Ma il paese di questa strage se ne era rapidamente dimenticata. Quando trovai i documenti, sotto gli atti di morte, c’erano solo i nomi e cognomi. E alla voce mestiere, c’era scritto ‘servo di pena’. Allora dissi a Leonardo ‘Mi sembra una cosa che potrebbe interessarti’. Lui lesse i documenti è mi disse ‘Interessantissima, ma perché non la scrivi tu?’. Insistetti, perché volevo che la scrivesse lui. Ma poi la scrissi e lui disse ‘Ora lo dico a Elvira’. Gli mandai il dattiloscritto. Dopo un po’ Sciascia mi disse che Elvira era disposta a pubblicarlo e allora io mi recai a Palermo e andai a trovarla nella casa editrice”.
“E’ inutile parlare della cortesia, della signorilità con le quali Elvira mi accolse nella sua casa editrice. Ma devo dire che contestualmente mi disse ‘Il titolo non mi piace’. Perché io avevo intitolato La strage dimenticata come Doppia ipotesi per un massacro. Le dissi ‘Ma perché come lo intitoleresti?’ e lei rispose ‘La strage dimenticata’ e infatti fu con questo titolo che venne pubblicato come numero 5 della serie Quaderni della biblioteca di storia e letteratura siciliana”.
“A guardare le date delle mie pubblicazioni” – prosegue lo scrittore – vedete che tra La strage dimenticata e il libro successivo passano otto anni. Sono otto anni di silenzio assoluto mio. Il fatto è che non sono anni lieti per me. Mi vengo a trovare in una situazione in cui capisco che la mia vita subirà una svolta. E quindi devo dare dei lunghi addii a delle cose. La mia amicizia con Elvira nasce proprio in quegli anni. Non è un rapporto autore-editore, ma saremmo diventati amici anche se io fossi stato un rappresentante di elettrodomestici. Inevitabilmente. Andavo in Sicilia e parlavo con lei delle mie cose come con nessun altro. Con un’apertura, con una confidenza straordinaria come se ci conoscessimo dall’infanzia. Capii dopo, ho i riflessi del tempo sempre ritardati, che per tutta la vita avevo desiderato una sorella. Quando ero bambino lo chiedevo a mia madre: ero così disperato che mi regalò una bambola a grandezza naturale, che diventò la mia confidente fino a dieci anni. Elvira era quella sorella minore che avevo tanto desiderato. Ero affascinato realmente dalla sua personalità complessa. Sapeva essere a un tempo dolcissima e durissima. Aveva un carattere determinatissimo, forte. Mi capitò una cosa strana: di cominciare a frequentare la sua casa editrice come casa mia. Arrivavo a Palermo in ore mattutine, scendevo dal treno, pigliavo il taxi e andavo in via Siracusa 50. Il portiere era avvertito. Giravo in quegli uffici, nelle stanze deserte, andavo in bagno, mi lavavo, mi facevo la barba, mi cambiavo la camicia, poi mi stendevo sul divano con un libro e aspettavo che arrivassero”.

“Anche se non lo dava a vedere, Elvira era coltissima ed estremamente attenta alle cose d’Italia. E’ stata un membro del consiglio di amministrazione della Rai, all’epoca dei cosiddetti professori, chiamata da Napolitano che allora aveva un’altra carica istituzionale. Dei grandi editori italiani, Mondadori in testa, Elvira aveva il fiuto. Una cosa difficile da spiegarsi. Io l’ho vista all’opera, come i rabdomanti, quelli che sentono l’acqua sotto terra. A Elvira bastava leggere le prime pagine di un libro per capire, per sentire la presenza di un autore. Andava a colpo sicuro e raramente sbagliava. Un dono di natura: l’opera quasi da cane da tartufo che fece con Bufalino; la scelta di nomi come Tabucchi, Lucarelli. Un’altra cosa che mi piaceva di Elvira erano i suoi giudizi sui libri che aveva pubblicato o doveva pubblicare. Curiosamente, in quelle occasioni, il suo vocabolario si impoveriva. Un giudizio di Elvira consisteva in un massimo di dieci parole, ognuna delle quali aveva un peso massa da stella implosa. Quelle non altre! Impressionante anche la sua capacità di lettura, intendo nel senso dell’attenzione acuta, come un raggio laser”, ricorda Camilleri.

“Quando i libri di Montalbano si cominciarono a vendere, vennero a bussare a casa mia i rappresentanti delle grosse case editrici. Lo dissi subito a Elvira un giorno. Eravamo nella sua stanza, io con la solita birra e le sigarette, lei seduta al suo tavolo. Divenne serissima di colpo. E mi disse in dialetto, il che significava qualcosa, ‘Inevitabilmente, un giorno o l’altro, mi metterai le corna. Però attento, mi metti le corna con Marilyn Monroe, io non posso fare altro che addolorarmi e perdonarti. Ma se mi metti le corna con una donnetta qualsiasi, io me la lego al dito. Ci siamo capiti?’ Ed ebbi l’autorizzazione in diretta a firmare il mio primo contratto con Mondadori”.

“Elvira ha saputo esercitare magistralmente la difficile arte dell’amicizia siciliana. Un’arte ormai estinta, trasformata in complicità o consorteria. L’amicizia siciliana è stata quella tra Pirandello e Martoglio ad esempio, un’amicizia che era assai di più di un amore fraterno. Nell’amicizia siciliana uno non deve chiedere un favore all’amico, perché è l’amico che deve prevenire la richiesta. E dell’amico si ereditano i suoi affetti, le sue amicizie, che diventano una cosa completamente tua. Quando la chiamavo al telefono, Elvira mi salutava sempre con la stessa frase ‘Amico del mio cuore’. E anche se stava male la sua voce diventava squillante. Non so se poi Elvira abbia usato la stessa espressione con altri, ma se questo fosse stato, io non me ne adonterei per niente, perché veramente il suo cuore aveva una grandezza tale da poter contenere tutta l’amicizia del mondo”.

Ilaria Campodonico