C’è qualcosa di fisico, quasi carnale, nella musica di Rogê. Ogni nota sembra nascere da un movimento, da un gesto del corpo prima ancora che da uno strumento musicale. È il respiro di Rio che continua a muoversi anche quando tutto il resto si ferma. Per anni questo instancabile animatore della vida loca carioca è rimasto un segreto tutto brasiliano: nove dischi, una candidatura ai Latin Grammy, perfino l’inno delle Olimpiadi di Rio. Eppure, fuori dai confini di casa, il suo nome restava un sussurro.
Con Curyman le cose cambiano. Tommy Brenneck (Budos Band, Charles Bradley) lo accompagna in un viaggio che non snatura la sua essenza, ma la amplifica, la rende ancora più nota. La produzione è americana, sì, ma la linfa resta interamente brasiliana: un incontro che evita gli stereotipi tropicali e punta dritto al cuore. Tutto in questo disco vibra di un’energia solare e contagiosa, ma sotto la superficie resta una malinconia sottile, quella saudade che trasforma la festa in rivelazione.
Rogê alterna eleganza e istinto, luce e introspezione, come un equilibrista sospeso tra samba e soul. La sua voce sembra portare addosso la polvere delle strade e il profumo del mare, capace di passare dall’euforia collettiva alla più intima confessione. Gli arrangiamenti, cesellati e caldi, abbracciano l’ascoltatore con una dolcezza che non concede tregua.
C’è dentro Curyman la sensazione di un’estate che non finisce mai, ma che lascia sempre una sfumatura d’ombra ai bordi. È un disco che vive di contrasti: la grazia del gesto semplice e la profondità di un’anima che ha visto troppo per essere solo felice. Rogê non cerca di piacere, si limita a essere, e in questo trova la sua verità più luminosa.
Curyman è il disco della maturità, ma anche una rinascita: Rogê suona come se fosse ancora lì, sul marciapiede di Lapa, a cantare per chiunque voglia ascoltare. Solo che ora il mondo, finalmente, si è fermato ad ascoltarlo.
Riccardo Davoli
