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I Circle of Moebius sfornano “Elegy For a Broken Life”

Lei è immobile, non riesce a muovere le gambe. L’idea di addormentarsi non la abbandona, ma sa che non può e quella musica che sente è l’unica cosa che le dà conforto adesso.

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Voci angeliche di donna e un atroce frastuono. Si fa forza e cerca di trascinarsi con le braccia. Intorno una distesa di neve infinita. Ma quando alza gli occhi quell’armonia surreale viene interrotta da una figura che emerge dal retro di una parete di ghiaccio. Lentamente si gira verso di lei e ride. E lei si addormenta.
Lei è paralizzata dalla testa al bacino, riesce a muovere solo le gambe. Il pensiero di addormentarsi non la abbandona, ma sa che non può e quella musica che continua a sentire è l’unica cosa che le dà conforto adesso. Si fa forza e si trascina per le gambe. Sa che tra poco vedrà quell’orribile volto ghignare, è proprio lì dietro l’angolo. La parete di ghiaccio è sempre più vicina e il suo respiro sempre più forte. Poi, d’improvviso, dal retro della parete compare quella figura. Lentamente si volta, ma ora non ha più la bocca per ghignare e lei può finalmente svegliarsi da quest’incubo.
Il concetto del nastro di Moebius (che prende il nome dal caro vecchio August Ferdinand Möbius) è affascinante. Per chi non lo sapesse trattasi di esempio di superficie non orientabile e di superficie rigata (rendiamo grazie a Wikipedia). È un’aporia, un paradosso geometrico, uno dei “trucchi grafici” spesso alla base delle opere di Escher e un concetto usato in rari e splendidi casi a livello narrativo nel cinema: andate a vedervi “Lost Higway” di David Lynch o “Memento” di Christopher Nolan e capirete. Il fatto che ora (dal 2004 per l’esattezza) sia anche il nome di una band romana non può che incuriosire. Come non può che incuriosire il fatto che il loro ultimo lavoro, l’EP dal titolo “Elegy For a Broken Life”, è un concept album, quindi “musica con un filo narrativo”. Le tipiche sonorità statunitensi dell’alternative metal (per fare un esempio “mainstream” possiamo citare gli Evanescence) si uniscono a quella tradizione rock che in Italia c’ha dato veramente tanto e per molto tempo: il Prog. Si avverte l’immenso lavoro che sta dietro il progetto sia a livello di songwriting che a livello strumentale, come anche la qualità della registrazione e del missaggio (c’è lo zampino del Temple of Noise, oggi Panic Studio). Un lavoro ben fatto e sicuramente frutto di esperienza, creatività. E se la scelta di fare bene il proprio lavoro (fare musica) all’interno di un contesto (un genere musicale) che già ha dato e che, in questo caso, è stucchevolmente americano, trito e ritrito, è una scelta consapevole, allora va bene. Ma il concetto del nastro di Moebius accende la mente, stimola un ragionamento e sorprende quasi come un gioco di magia pur essendo matematica, natura. Ci vogliono band che, al di là del genere di riferimento, sfruttino le loro potenzialità, le loro capacità artistiche, per sorprendere, per dare una scossa a noi ascoltatori passivi, intorpiditi, paralizzati.

 

Marco Casciani