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K.Flay – Everywhere is somewhere

Non ho mai amato l’Hip Hop, eppure…

Non ho mai amato l’Hip Hop. A dir la verità è un genere musicale che non avevo nemmeno mai capito; lo avevo provato ad affrontare, qualche anno fa, tentando di approcciarmi all’ascolto di mostri sacri (50 Cent, Eminem, Run Dmc), ma la barriera non si era minimamente scheggiata: il divario tra me e “loro” restava immenso.

Eppure ogni cosa ha un suo inizio e una sua fine. Pochi mesi fa mi è capitato di ascoltare per radio “Blood In The Cut”, un pezzo dell’americana K.Flay che mi ha rapito immediatamente per la particolarità della sua voce nonostante la spiccata vicinanza all’universo Rap.

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Così decido di acquistare, praticamente al buio, il disco “Everywhere is somewhere” e mai acquisto istintivo fu più azzeccato!

L’album si lascia percepire subito coinvolgente e intenso, le melodie fanno scivolare l’ascolto verso una maggiore attenzione alle sfaccettature sonore e agli adattamenti vocali con una facilità sorprendente. L’Hip Hop sembra avere delle venature meno estreme grazie alla contaminazione indie-elettronica e anche i contenuti sono decisamente più lontani dalla rabbia sociale, spesso politica, tipica dei rapper. K.Flay, aka Kristine Flaherty da Wilmette, Illinois, parla di se stessa, racconta episodi di vita mettendo a nudo la propria esistenza con una semplicità cruda che brucia ogni spiraglio di malizia.

Il disco si apre con “Dreamers”, un universo in slow motion che spalanca le porte ad un album bellissimo ed immediato: “Black Wave”, “Slow March”, “High Enough”, “Hollywood Forever”, “You Felt Right” conquistano già al primo ascolto. Ad oggi lo voterei come miglior album del 2017!

David Gallì