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La Casa Al Mare: “This Astro”, reverb never dies!

Il ritorno degli Slowdive, dei Ride e, a brevissimo, anche dei My Bloody Valentine, hanno riportato alla ribalta un genere che negli ultimi tempi era stato un po’ troppo frettolosamente relegato agli ascolti esclusivi di una ristretta cerchia di cultori.

Ed ecco il rifiorire dei muri sonori da feedback interspaziali e melodie da nenia psych-trascendentale, vortici che La Casa Al Mare, terzetto tutto romano composto da Paolo Miceli alla batteria, Marco Poloni al basso e ai vocal, e Alessio Pindelli, chitarre e vocal, aveva deciso di non mollare.

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La band muove i primi passi già dal 2012 ma è solo tre anni dopo, nel 2015, che il suo splendido debutto discografico, “This Astro”, vedrà la luce.

Il disco era stato anticipato da due singoli che il Sounds Better With Reverb, blog di riferimento mondiale per la scena dream-pop/shoegaze, aveva già definito come il debutto dell’anno insieme agli americani Beach House (letteralmente, la casa sulla spiaggia). Che strani incroci.

Ma sono proprio questi strani incroci di sabbia, di mare e di case immerse nei colori del tramonto autunnale a sospirare le tonalità di infinito nel quale ci si immerge all’ascolto del disco, concezione di mistica immensità avvolta da una ricerca irrisolta di pace e di una mano tesa. Questa è l’immagine che mi trasmette “This Astro”.

Già all’ascolto del brano di apertura se ne intravede la brillantezza: “I don’t want to”, sublime, con suoni blu aciduli contrastati da una voce appena sussurrata, quasi evanescente, che riporta ai migliori My Bloody Valentine. L’onda lunga dell’effettistica che si insinua viene ribattuta agli angoli da una batteria ortodossa e decisa. Il muro di suono. Quella ricerca irrisolta di pace.

La seconda traccia si lascia apprezzare già al primo ascolto. “Sunflowers” infatti presenta una melodia più preponderante, meno nascosta, e stavolta sono i suoni a rimanerne sospesi, come il mio ascolto.

La terza traccia, “M”, è la mia preferita e non solo perché istintivamente il titolo mi riporta ad uno dei pezzi che più mi hanno legato indissolubilmente ai Cure e del loro inarrivabile genio, ma perché è la fotografia perfetta del mood shoegazer di ricerca interiore: lieve, oscura, stellare, intensa, delicata e solenne al contempo. Un’onda mistica accompagnata dall’immancabile riverbero nel quale la voce sembra volersi estraniare per espiare una colpa e ritrovare la via della luce, che puntuale ritorna in “At All”, allegra e ballabile, sconfinante in territori indie. “Tonight or Never”, sospirata, acustica, e “Cd Girl”, chiudono un lavoro di assoluto spessore.

David Gallì