Le modalità culturali di fruizione della musica sono sempre state legate a doppio filo alle capacità tecniche dei mezzi di riproduzione: dal concerto al giradischi fino allo streaming, la caratteristica di evento legata all’ascolto dell’opera musicale si è andata pian piano disgregando, fino a raggiungere la condizione attuale di una onnipresente “colonna sonora” della propria vita, fatta in minima parte dalle proprie scelte, e in grandissima parte costituita dalle migliaia di canzoni (molto più spesso, spezzoni di esse) presenti nelle radio, nei film, in televisione e nella pubblicità.
Oggi la canzone deve colpire al primissimo ascolto, sia per la facilità con cui è possibile passare immediatamente ad altro materiale, sia perché la quantità del materiale stesso è smisurata, creando un notevole rischio di omologazione all’interno di una massa indistinta di prodotti “usa e getta”. Ma il primo, di ascolto, è spesso il peggiore, per chi dell’ascolto non possiede la cultura: a volte bisogna sedersi, e ascoltare attentamente, più volte, per godere della bellezza della musica, in barba alla velocità frenetica della nevrosi contemporanea. Il piacere derivante dall’ascoltare e riascoltare Laughing stock dei Talk Talk è semplicemente indescrivibile: capolavoro slo-core, anticipatore di quello che da lì a qualche anno sarebbe stato chiamato post rock, il quinto album in studio della band inglese appare come una tela variopinta che va lentamente e meravigliosamente formandosi davanti agli occhi dell’uditore, grazie all’incastro perfetto tra i vuoti e le sonorità rarefatte che Mark Hollis (storico leader del gruppo) propone, insieme ai suoi musicisti. È quando la musica non viene limitata al suo carattere decorativo che è possibile godere appieno della sua arte.
Flavio Talamonti