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Melvins @ Circolo degli Artisti (04/10/2011)

Un terremoto, un suono così compatto ed energico che ti sembra di poterlo toccare, o meglio, avverti la mazzata in faccia a qualsiasi distanza dal palco, sei stordito, frastornato e immensamente felice.

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Sto parlando dei Melvins che approdano al Circolo degli Artisti: un evento che attendevo da tempo con l’emozione di chi vorrebbe “collezionare” ascolti live di tutti i gruppi di cui ci si è innamorati per un po’, quelli che ti hanno accompagnato nel tempo. Con alcuni di questi è ormai impossibile causa scomparsa (e conseguente mitizzazione) dei protagonisti (vedi Ramones), misteriose e lunghe pause (vedi Fugazi) e al massimo ci si deve accontentare di vedere su un palco singoli artisti che un tempo erano leggenda e che continuano a girare il mondo con altri progetti più o meno interessanti (vedi Jello Biafra). C’è qualcosa che accomuna questi artisti appena citati ai Melvins: come i Ramones, infatti hanno sviluppato una sorta di mania da parte dei fan di tutto il mondo, oltre all’ironia tipicamente americana (“quasi da fumetto”) che appartiene a entrambi. Assieme ai Fugazi poi, possono essere considerati il gruppo più influente del rock alternativo americano dal punto di vista musicale e di approccio al mercato discografico (è ormai risaputo il loro legame con i Black Flag di My War, con i Nirvana e tutto il conseguente “Seattle Sound” e con un altro mostro sacro che risponde al nome di Steve Albini). Infine, con Jello Biafra hanno condiviso un periodo della loro carriera. La formazione in 25 anni di attività è cambiata nei più svariati modi, il basso è stato da sempre il jolly della situazione mentre Buzz Osborne e il batterista Dale Crover sono i membri presenti sin dall’inizio. L’attuale formazione vede la presenza di Coady Willis ad affiancare alle pelli Dale e Jared Warren al basso.

Sono le 21 quando mi ritrovo di fronte alla severa scritta “Sold Out” che avrà rattristato molti. Dentro c’è gente di tutti i tipi, dai ragazzini metallari iper-eccitati, ai tipi come me iper-eccitati ugualmente, ma che fingono poco entusiasmo per non sembrare dei ragazzini. Le due batterie presenti sul palco sono bellissime, sono un monito per i presenti. In un’ora e mezza si passano tutte le fasi di assestamento del pubblico, da “tranquillità/attesa paziente” a “leggera pressione verso il palco” per giungere infine alla fase “immobilità totale/bestemmia selvaggia verso l’orizzonte”, ma poi ecco che il boato accoglie quella leggendaria fratta argentea e la serata ha finalmente inizio.

“Lysol” è il primo pezzo, o meglio, un lunghissimo brano che riassume l’Ep omonimo del ’92 fatto di distorsioni possenti e cupe e ritmi lenti, ossessivi che sfociano nella più immediata “Waterclass”, questa invece dal loro ultimo album. Un pezzo tutto batteria e cori in stile marines americani. Nonostante la tanta ironia, l’intera esibizione è studiata nel dettaglio, organizzata con la massima serietà, dalla scaletta minuziosa che ripercorre equamente i loro lavori migliori, fino all’assenza di pausa e di bis. Contatto con il pubblico praticamente pari a zero se non pensiamo ai cenni di saluto dei batteristi e al breve cenno di saluto di King Buzzo prima di andarsene dopo l’ultimo pezzo. Ad ogni modo suonano pezzi come “Talking Horse”, “Lizzy” (non poteva mancare), “Queen”, “Spread Eagle Beagle” che ha le due batterie come protagoniste. Concludono con “Shevil” e se ne vanno da “professionisti”, il bassista con un reggiseno in testa, ma nella più totale serietà che neanche Buster Keaton.

Anche io esco, non vedo CD o Vinili in vendita ma solo magliette, cosa che ho visto fare già agli Shellac. Poi fuori mi accorgo di essere quasi sordo, ma, inutile dirlo, soddisfatto.

 

Marco Casciani