Tra sperimentazione sonora e visuale
“Quando ero bambino mi dissero che Dio ci aveva creato a sua immagine e somiglianza. Fu allora che decisi di fabbricare specchi. Sicurezza, tranquillità ed un meritato riposo: tutti gli scopi che ho perseguito presto li avrò raggiunti. La vita è uno stato mentale”.
Benjamin Rand (Melvyn Douglas) citato dal Presidente (Jack Warden) in Oltre il giardino di Hal Ashby, 1979
La capacità di adattamento dell’essere umano nelle condizioni più avverse, fossero esse causate dall’azione della natura o da quella dell’uomo, è da sempre cosa risaputa, anche se spesso la si nota sempre negli altri e a posteriori: il più delle volte, quando la possibilità del cambiamento riguarda noi stessi, le nostre abitudini e la nostra quotidianità, i motivi che siamo capaci di addurre, pur di non cimentarci nella lotta con i nostri limiti e con le nostre barriere mentali, sono sempre numerosissimi e i più vari, così come numerose e variegate sono le forze che mettiamo in campo per questo scopo, e non per il suo esatto contrario, cioè per mostrare a noi stessi cosa siamo in grado di fare quando i nostri limiti e le nostre barriere mentali vengono abbattute. In presenza di grandi masse di individui questo stesso meccanismo non risulta frammentato in tanti pezzi quanti sono le singole persone, ma anzi viene amplificato all’ennesima potenza e fagocita tutti, quasi indistintamente, vittime di un sistema mentale generato inconsapevolmente da noi stessi e dalle nostre paure. Paura del diverso, spesso. E paura di riuscire a capirlo, e di ritrovare in questa capacità una qualche dimostrazione di come le proprie convinzioni, ciò che finora ha tenuto in piedi il nostro mondo, sia troppo spesso fragile e incapace di reggere ai cambiamenti. Il lavoro di Lino Strangis, poliedrico artista intermediale molto apprezzato sia in Italia che all’estero, si muove fin dagli inizi della sua carriera su più versanti: la ricerca e la sperimentazione sonora accompagnano di pari passo il suo percorso di videoartista, e ci propongono in continuazione nuovi stimoli e nuovi spunti su cui riflettere, alla ricerca continua del superamento di quei limiti che le culture, le ideologie, le tradizioni, ma molto più semplicemente (e giustamente) la nostra mente, ci impongono. “Some visions for sensitive ears” è, in ordine di tempo, l’ultimo tassello di questa sua personale ricerca. Strangis riesce nell’impresa di proporre nuove soluzioni musicali che hanno la capacità di risultare familiari all’orecchio dell’ascoltatore, nonostante la loro carica innovativa, sia nello spunto di partenza che nei risultati raggiunti: egli scava a piene mani nella musica elettronica e nell’avanguardia sperimentale, senza però rinunciare al lavoro sulla melodia e sulla costruzione di atmosfere intimiste che riescono però con credibilità ad inserirsi in situazioni al limite dello straniamento. “Some visions for sensitive ears” è – a cominciare dal titolo – un’opera intensa, che si propone non come la semplice costruzione di un’emozione da presentare all’ascoltatore, ma ha la volontà e la credibilità di stimolarlo al fine di riconoscere alle percezioni, e non ai nostri limiti, il ruolo di chiave con il quale aprire e guardare noi stessi e il mondo.
Flavio Talamonti