
C’è qualcosa di profondamente unico e liberatorio nella musica dei The Beefs. Qualcosa che sa di spillatore arrugginito, battute scambiate al bancone, risate grosse come una pinta e riff che si infilano sotto pelle come il sole d’Australia. Nati nel 2018 tra Perth e Sydney, si sono fatti le ossa nel cuore pulsante della scena locale. A guidarli c’è Sammy Smith, frontman dalla voce sfrontata e carismatica, che ha radunato una manciata di amici per cucinare un suono tutto loro.
Il risultato è un frullato travolgente di pub-pop: melodie orecchiabili, chitarre smaltate di rock’n’roll, ritornelli a presa rapida e testi che parlano la lingua universale della birra e dell’amicizia. Il loro primo EP, Country Member, è una dichiarazione d’intenti: la compagnia, le schooner e un sense of humour secco come la terra rossa del bush.
Alla produzione c’è Matt Corby, che leviga senza snaturare. E durante la pandemia, mentre il mondo era fermo, loro si muovevano: collaborazioni con Kirin J Callinan, Julian Sudek, Lucy Lucy e altri hanno acceso nuove scintille. Ne sono usciti brani come “Red Bellied Black Snake” e “Feel So Good”, esplosivi, solari, diretti.
I fan li chiamano “Beleefers”, e ai loro concerti si ricrea lo spirito del pub vero: niente filtri, solo energia. Un’energia che si sente a pelle, che ti fa alzare il bicchiere in un brindisi all’aria, mentre inizi a sorridere anche a chi non conosci.
C’è il suono e la sensazione delle scarpe appiccicate al pavimento, delle risate che scoppiano prima del ritornello. Ma c’è anche cura, attenzione al dettaglio, voglia di durare. I Beefs non suonano per distrarti: suonano per coinvolgerti, per farti parte della loro tavolata. E in un momento storico in cui la leggerezza è merce rara, la loro musica è una bottiglia da stappare senza pensarci troppo.
Non inventano nulla, ma riescono a far suonare tutto come se fosse la prima volta. E questa, oggi, è già una piccola grande rivoluzione.
Riccardo Davoli