Infatti sia “Disintegration” (1989) che “Wish” (1992) sono riusciti ad allargare enormemente il circuito degli ascoltatori della band inglese, grazie anche alla realizzazione delle hit più popolari e radiotrasmesse come “Lullaby”, “Friday I’m in love” e “Pictures of you”. Ma è l’album successivo del 1996 che segna una nuova svolta e un ennesimo punto di rottura con il passato: “Wild Mood Swings”. Un disco quasi interamente concepito e realizzato da un uomo solo al timone: Robert Smith. Infatti, dalla fine del tour di “Wish” diverse cose erano cambiate nel gruppo: Porl Thompson aveva lasciato la band per unirsi a Robert Plant e Jimmy Page, così come Boris Williams aveva deciso di proseguire verso altri percorsi di sviluppo personale. E lo storico bassista Simon Gallup si era preso un periodo sabbatico per risolvere problemi personali legati ad usi e abusi di varie sostanze. Pertanto il folletto di Blackpool si libra spaziando tra sperimentazione, ballate sorridenti, meravigliose riflessioni decadenti e malinconiche in perfetto Cure-style.
“Wild mood swings” ha spaccato i fans più legati a sonorità darkwave e post punk, troppo ciechi da non riconoscere un’impalcatura da capolavoro: 14 tracce di cui 3 un po’ annacquate e fuori contesto (“The 13th”, “Strange Attraction”, “Round&Round”) e altre 11 meravigliose, intense, vibranti, che rappresentano la piena maturazione stilistica della band. Accostatevi all’ascolto con: “Want”, aggressiva e cupa, “Jupiter Crash”, sognante e dolce, “Bare”, nuda come il titolo.
David Gallì