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White Lies – Ritual

I White Lies non mi hanno mai convinto del tutto, li ho sempre considerati un gruppo più cool che capace. Il primo disco però non era affatto male e la mia era solo una sensazione, che purtroppo è diventata certezza all’ascolto del secondo lavoro della band londinese.
Che gli ultimi 2/3 anni avessero segnato il ritorno degli ’80 e la definitiva santificazione di Ian Curtis era chiaro a tutti. Voci baritonali, utilizzo sfrenato dei synth, colori accesi alternati ad atmosfere dark ed i Depeche Mode che diventano più famosi per il primo decennio di carriera che per il secondo, com’è giusto che sia. I White Lies si erano inseriti in tutto questo nel 2009 e gli va riconosciuto di essere stati tra i primi a farlo. Questo non vuol dire però che, a tre anni di distanza, ci si possa presentare con un disco identico al precedente per la prima metà e nettamente inferiore nella seconda.
Il pensiero cattivo è che questo fosse un disco ancora in fase di realizzazione ma che si è voluto far uscire subito, per cavalcare l’ultima parte dell’onda post punk che, mese dopo mese, perde forza e, se ci vogliamo lanciare in una previsione, si esaurirà il 22 marzo con l’uscita del quarto album degli Strokes.
Come detto, un disco spaccato in due. Le prime 5 tracce sono sul livello del precedente lavoro. “Is Love”, “Bigger Than Us” e “Strangers” segnano un buon inizio tra mix di synth, interessanti riff di chitarra e testi come al solito giocati sul dualismo amore-morte. “Peace & Quiet” e “Streetlights” ricordano molto i primi Depeche Mode ma, nel complesso, suonano bene. La seconda parte si apre con due brutte copie dei Joy Division: “Holy Ghost” e “Turn the Bells”. Le tre canzoni che chiudono l’album sono assolutamente trascurabili.
La moda che ha permesso ai White Lies di uscire si sta esaurendo. Vedremo se, al prossimo disco, saranno capaci di reinventarsi.

Simone Brengola

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