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“Due soli al comando”: la vita raccontata attraverso il ciclismo

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Ancora una volta, a dispetto del titolo del suo lavoro, Gianni Clementi porta sulla scena un uomo che si ritrova solo, ancora una volta ci troviamo di fronte un’esistenza passata a cercare altro, un’occasione, un’illuminazione, un momento di gloria.

L’altro, il compagno evocato dal titolo, resta un referente ideale, il contraltare di chi parla, lo spunto per fare i conti con la propria misura e per cercare una misura, andando a ritroso, scavando, rievocando, consolandosi col ricordo. Il ricordo che assume, anche per chi è in platea, un sapore salvifico nella sua concretezza e per la verità che contiene, in quanto vita passata, infanzia, lontano dalle corruzioni dell’età adulta. A “vuotarsi” sul palco è un ciclista, un gregario per la precisione, cioè un uomo il cui scopo è stato sempre quello di far vincere altri, di favorire un successo che non ha mai potuto gustare, un atleta che ha ceduto al richiamo della vittoria nel modo peggiore, con rimedi chimici, che ha perso per questo il suo caposquadra, l’ “altro solo al comando” di cui parlavamo prima, e che ora, solo con la bicicletta, talismano e oggetto di dannazione, affronta se stesso. A interpretare questo ruolo tanto affascinante quanto attuale è Riccardo Fabretti, giovane attore il cui sodalizio artistico con Clementi continua a dare esiti brillanti. Lo abbiamo sentito per cercare di poter restituire meglio il senso di uno spettacolo chè senza dubbio da vedere, uno spettacolo che il regista ha definito “la storia di un vagabondo”.

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Interpreta ancora una volta un monologo, ancora una volta affronta senza aiuti le pieghe nascoste dell’uomo e la sua mediocrità, cosa troviamo in questo spettacolo?

In questo testo ad essere affrontata non è solo la tematica sportiva, l’agonismo, che in effetti costituiscono solo uno spunto per un’analisi incisiva ma sempre leggera, sui ricordi, nei quali si intrecciano amore, amicizia, infanzia. Il modo per un “vinto” di ritrovare una guida.

Se si parla di vinti esistono quindi anche dei vincitori, quali sono le dinamiche di questo rapporto che vengono messe in scena?

Nella società in cui viviamo sembra che sia necessario essere competitivi e senza scrupoli. C’è spazio solo per i vincenti e i deboli, i tanti “gregari” che pure affollano il nostro quotidiano, non sono previsti, anche se non se ne può fare a meno. Per questo diventa naturale, per chi è tenuto ai margini, cedere alla tentazione della vittoria per assaporare la popolarità momentanea che ne consegue, per sentirsi vincitore, almeno una volta in una vita, a qualsiasi costo.

Lo spettacolo sembra restituire un messaggio pessimistico, in cui a vigere è un ordine immutabile che nessuno può rompere…

Il pessimismo è la matrice da cui parte “Due soli al comando”. Nella nostra jungla in cui si inneggia sempre alla vittoria e alla competitività, che spinge al ricorso a compromessi biechi,  ad un’invidia sottile che rischia di compromettere ogni rapporto, un modo per emergere è smettere di credere che ci siano solo vincitori o vinti, che si è destinati o ad avere un successo costante o a subire sconfitte pesanti per sempre. Una misura è possibile, nell’ordine delle cose è inscritta tanto la vittoria quanto la sconfitta e quello che bisogna tenere a mente è che ognuno fa i conti con l’una e con l’altra verità e che non è importante o necessario solo perché vincente, è necessario perché è, esiste e vive come chiunque altro.

Informazioni:

Teatro dell’Orologio
dal 18 al 23 maggio 2010


Stefano Cangiano