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Ex Deposito Carburanti Vitinia, ultima oasi verde del quartiere

La storia e le proposte per il futuro per i 50 ettari di verde

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VITINIA – Percorrendo via di Mezzocammino, in direzione Ostiense, voltandosi sulla destra e guardando in alto, si ha per un istante la sensazione di compiere un tuffo nel passato.
Un paesaggio arcadico, composto da edifici rurali, alcuni dei quali molto riconoscibili. Una cisterna, una ventola, una casa colonica, svettano alte e ben visibili sulla collina che precede il quartiere di Vitinia.   
“Quest’area era il terzo deposito in Italia per capacità di carburanti e lubrificanti. Gli edifici rurali e le casematte nascondono in realtà i vecchi depositi, interrati e camuffati. In effetti anche la morfologia di quest’area, che complessivamente supera i 50 ettari, è indotta” ci spiega Paola Badessi, Presidente dell’Associazione Viviamo Vitinia.
L’inganno è consumato. Il paesaggio agreste è servito, fino agli anni settanta, a celare una zona dall’importante valore strategico e militare. Oggi i depositi, bonificati, fanno parte di un ambiente che catalizza l’attenzione di architetti ed archeologi, ma anche di semplici cittadini interessati a salvaguardare un polmone naturale, con le sue zone rurali alternate a quelle boschive, ultimo lembo di verde sopravvissuto all’urbanizzazione del quartiere di Vitinia.
Per il 25 marzo l’Associazione Viviamo Vitinia ha organizzato un convegno, coordinato dal giornalista del Tg3 Lazio Lazzaro Pappagallo. Interverranno urbanisti, archeologi, geologi, architetti, dal WWF a Legambiente, dall’Associazione Geologia senza Frontiere a Italia Nostra. In questa data, in cui converranno anche molte realtà associative, come la Rete Romana del Mutuo Soccorso, il Comitato No Corridoio Roma–Latina, l’Associazione Primavera Romana e quella dei Diritti dei Pedoni, sarà possibile affrontare il tema della speculazione edilizia che si appresta a realizzare nell’area dell’“ex deposito carburanti” di Vitinia.

“Attualmente la proprietà -ci informa Paola Badessi- è dell’agenzia del Demanio di Stato, ex Ministero delle Finanze, ma la gestione, anche in caso di alienazione, è dei militari.” In effetti quest’area  che insiste su una superficie vasta, compresa tra via di Lago Santo, via di Mezzocammino e via Ostiense, è completamente cinta da una recinzione militare. Quindi le possibilità di usufruire del parco, da parte della cittadinanza, sono state sempre molto scarse. Nulle addirittura, prima della costituzione, nel ‘99, dell’Associazione Viviamo Vitinia. Ma come è possibile che un quartiere, completamente privo di aree verdi, non utilizzi questo  polmone di 50 ettari? Per comprenderlo, ed ancor più per capire i rischi di cementificazione che attanagliano l’area, è utile ripercorrerne la storia.
“L’operazione di alienazione ad opera del Ministero della Difesa era già stata consentita dalla finanziaria 98-99, periodo in cui abbiamo costituito l’associazione” ci spiega con buona padronanza la Badessi, “e nelle finanziarie precedenti il bene era in possesso del Demanio, che poi si occupava dell’alienazione. Dal ’99 invece l’alienazione sarebbe stata gestita direttamente dalle amministrazioni che lo utilizzavano”. E tuttavia, rimaneva in piedi una  possibilità importante, che lasciava la possibilità agli Enti Locali di fare una prima mossa. “E quindi abbiamo convinto il Comune ad esercitare il diritto di prelazione, e nel 2001, in accordo col Ministro della Difesa e con il Sindaco Rutelli abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa”. Il risultato fu di cambiare la destinazione di una parte dell’area, ad uso agricolo, che venne destinata a servizi. Seguirono alcune modifiche, legate al Piano Regolatore che identificarono l’Area 62 (ex deposito carburanti) come un ATO (ambito di trasformazione ordinaria) destinato alla costruzione. Sino ad arrivare, al 2007, all’elaborazione della bozza di un Accordo di programma, fortemente avversata dai residenti, che prevedeva una colata di cemento di 150 metri cubi. Un proposito rimasto fortunatamente irrealizzato.
Il successivo PRG del 2008, ha comunque fissato un cambio di destinazione d’uso per  una parte dell’area, senza porre un vincolo di edificabilità. Ingenerando un problema di non poco conto, poiché, soprattutto “con l’ipotesi di un federalismo demaniale -conclude la Badessi- il rischio di accrescere oltremodo le possibilità di costruzione, saranno ampie. E sarà un peccato, perché non avendo un altro spazio di verde pubblico, quell’area è l’unica valvola di sfogo”.
Ed allora per capire meglio, l’appuntamento rimane quello del 25 marzo, presso l’auditorium del Santa Chiara al Torrino.

Fabio Grilli