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Solo un fiore per Maria

Tratto da Urlo n.180 Giugno 2020

È la mattina dell’11 maggio, l’ultimo lunedì prima del 18 e della ripartenza. I quartieri hanno ricominciato ad essere frequentati, le attività riaprono e c’è chi è finalmente tornato a lavorare. In una situazione difficile, fatta di preoccupazioni per il futuro, incertezza e instabilità non solo economica, si consuma una tragedia.

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È un residente di Montagnola sceso in strada presto con il cane a dare l’allarme: nel parco Don Picchi c’è una donna in fin di vita. Probabilmente non è il primo ad accorgersi del fagotto di stracci riverso tra i cespugli, ma sicuramente è l’unico ad avvicinarsi e a capire la gravità della situazione. I paramedici intervengono immediatamente, bardati con guanti, visiere e mascherine, per proteggersi dal Covid, soccorrono la donna, cercando di fare il possibile. Purtroppo si rendono subito conto delle condizioni disperate in cui versa. L’aggressione che ha subito nella notte è stata violenta, lo provano i segni sul corpo e sul volto. Viene caricata in ambulanza e portata d’urgenza al San Giovanni. L’ambulanza sfreccia lungo la Colombo, deserta in quel lunedì mattina di lockdown, ma la celerità dei soccorsi non basta a salvare la donna. Arriverà in ospedale già in coma e dopo 24 ore, il 12 maggio, sarà dichiarata morta.

Le indagini dei Carabinieri riescono a darle un nome: si chiama Maria Drabikova, 40enne di origine polacca senza fissa dimora. È stata uccisa, si scoprirà solo qualche giorno fa (il 4 giugno), dal suo compagno A. D., un cittadino romeno di 41 anni, l’uomo al quale forse Maria aveva anche voluto bene. Interrogato per alcune ore non è riuscito a convincere gli inquirenti, fornendo una versione contraddittoria dei suoi spostamenti, così al momento è in carcere in attesa di giudizio.

La storia di Maria è stata molto sentita nel quartiere, in tanti perlomeno di vista la conoscevano. Il Municipio VIII nei giorni scorsi ha lasciato nel parco una corona di fiori per non dimenticarla, ma questa storia, purtroppo, non ha ottenuto il risalto che avrebbe meritato. Nessun titolo di giornale, servizio al Tg o lancio d’agenzia. Nulla. Una notizia sommersa, passata in silenzio nel frastuono dei dati sui contagi e sull’epidemia.

Ma se è questo ciò che fa notizia e interessa (come negarlo) è di un’altra epidemia che prima o poi si dovrà pur parlare, del ‘virus’ di cui è morta Maria: della violenza sulle donne. Durante il lockdown sono state 5.031 (dati Istat del 13 maggio) le chiamate certificate al numero antiviolenza (il 1522), il 73% in più rispetto allo stesso periodo del 2019. A chiedere aiuto (quindi un intervento) sono state 2.013 donne (il 59% in più rispetto al 2019). Basti pensare che per il Lazio, il tasso di incidenza è passato dal 6,8 del 2019 al 12,4 dello stesso periodo del 2020. Se gli esperti sottolineano come questo incremento non sia necessariamente legato alla convivenza forzata, ma potrebbe infatti essere frutto delle campagne di sensibilizzazione, restano comunque dati impressionanti, che lasciano solo intuire quali possano essere i margini del sommerso.

Quei margini dove sopravvivono, quando ci riescono, tutte quelle donne costrette in situazioni al limite. Donne come Maria, sfuggita dalle maglie larghe di una statistica e finita riversa in un parco, colpita a morte da chi forse diceva pure di amarla.

Leonardo Mancini