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Regione: stop alla Ru-486 per mancanza di posti in ospedale

L’ennesimo grande blocco al diritto delle donne sancito dalla legge 194. La Regione Lazio blocca la somministrazione della pillola abortiva con un protocollo che detta le ristrette linee guida su cui procedere. L’ospedale G. B. Grassi di Ostia comincia la somministrazione della pillola abortiva effettuando giovedì 10 giugno il primo aborto farmacologico a una donna che,sulla base di numerosi accertamenti ed ecografie, presentava uno stato di salute tale da poter non usufruire dell’aborto chirurgico ed evitare il ricovero ospedaliero di tre giorni. Scatta subito la polemica. Così lo stesso giovedì pomeriggio il governatore della Regione Renata Polverini approva le linee guida e un protocollo operativo. I punti fondamentali sono: il ricovero ospedaliero obbligatorio e i tempi di attesa per le strutture che dovranno ottenere le idoneità per somministrare la pillola. L’ospedale Grassi si trova così alle strette e ne blocca la somministrazione. «Qui non si effettueranno altre interruzioni di gravidanza con trattamento farmacologico – sostiene il direttore sanitario dell’ospedale Lindo Zarelli – Aspetteremo la lista delle strutture accreditate. Il problema per il Grassi è la carenza di posti letto. Dovendo dedicare per legge una stanza alla paziente che decide di abortire con la Ru-486, avremo di fatto due posti letto in meno».  In sostanza, in attesa che la delibera venga messa in pratica, non si può fare altro che aspettare, l’unico procedimento consentito è l’aborto chirurgico. Lo stesso giovedì pomeriggio la Polverini aveva commentato: «Il Grassi doveva aspettare. Mi auguro che non succeda nulla, ma se accadesse qualcosa ognuno si assumerà le sue responsabilità perché non vorrei mai trovarmi in una Regione in cui, se accadesse qualcosa, non sapremmo con chi prendercela». A sollecitare l’intervento della governatrice in mattinata era stato il presidente del gruppo dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri: «La Ru486 può essere utilizzata come strumento abortivo ma, come appunto prevede la legge, è necessario il ricovero per tutto il tempo necessario dalla prima assunzione fino all’espulsione del feto. Bisogna evitare – aveva suggerito lo stesso esponente del Pdl – che in alcuni ospedali i medici, in assenza di direttive precise, possano in qualche modo agire in autonomia, magari evitando il ricovero».  Il rischio maggiore è quello di spostamenti in altre regioni dove la pillola viene regolarmente somministrata. Secondo Rocco Berardo, consigliere regionale radicale, e Mirella Parachini, ginecologa del San Filippo Neri di Roma e della direzione dell’Associazione Luca Coscioni: «la partenza dell’aborto farmacologico della Regione Lazio è stentata , occorre subito sbloccare questa voluta paralisi che vede da una parte le donne costrette all’intervento chirurgico e non farmacologico (contro la loro volontà) e dall’altra un’impossibilità per le strutture sanitarie di dare adeguate risposte a una legge e un diritto che c’è ma viene negato».
Laura Porcu

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